Il piccolo Hans - III - n. 11 - luglio-settembre 1976
fra le più suggestive, quella di Cesare Brandi, ripresa poi da Rubiu, che legge in quei dipinti un'allusione alla pellicola fotografica non ancora impressionata e forse, di conseguenza, anche alla camera oscura (vero e pro prio «modello» dell'occhio). Senonché, in entrambi i casi, si avrebbe a che fare con un procedimento - quello della mimesi - che sin dall'inizio Romiti ha provveduto a rimuovere (come abbiamo visto) e non solo relativa mente ai modelli «naturali» bensì anche a quelli, ideali, della ' «figura» e dell'«immagine mentale». Se di camera oscura si tratta, essa è, nel nostro caso, non un modello da riprodurre ma semplicemente il risultato formale del- 1'effetto d'un avvicinamento. E cioè, ancora, dell'esperienza della «differenza», ma non più articolata sulla realtà {esperien:z1:t della « brisure »), né introiettata nell'ambito d'una « forma oggettuale» (esperienza del «simulacro»), quanto proiet tata sull'atto stesso del vedere. Il che equivale a dire: . esperienza dell'occhio che contempla se stesso in quanto Differenza pura e veramente originaria, e che di conse guenza trasforma la «visione» - il suo strutturarsi come Reale «altro», al ,di là del Soggetto (luogo di inve stimento fantasmatico dell'Io, passaggio di identifica zione) - in quella che si potrebbe chiamare, lacaniana mente, «struttura dello sguardo»: esperienza dell'inti- . mità più propria, portata (es-portata) al punto focale della contemplazione - che naturalmente non è affatto il punto rassicurante della coscienza razionale, o dell'auto coscienza, il punto del « je me voyais me voir » della Parca di Valéry - ma è il punto della più «crudele» pratica conoscitiva per il Soggetto, là ove converge il duplice e contrario movimento della «vista» e della «cecità». Questo punto estremo del '"vedere», ove il conoscere assume interamente su di sé il proprio non sapere (la propria «alterità»), o la memoria il proprio oblio, è perfettamente circoscritto da alcune parole di 41
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