Il piccolo Hans - III - n. 11 - luglio-settembre 1976

per esempio nella distanza che corre - a favore del concreto - tra il dire che «ogni testo ha un posto nella letteratura» e il dire che il posto «è mutabile, al limite perdibile». Tutto il libro prevarica felicemente a favore del con­ cetto: s'addentra negli ambiti reali - non nelle cate­ gorie - della lingua, della lingua letteraria, del linguag­ gio poetico, e chiama al confronto molti informatori e testimoni (scrittori, teorici della comunicazione e della scrittura, critici), ma ognuno a confronto con un lavoro peculiare (una precisa serie di letture, di ricerche, una storiografia, una lunga attività di interpretazione) cui spetta, in ultima istanza, di approvare la definizione di ogni problema. Vedo persino un atteggiamento di sfida, una salutare mancanza di rispetto umano, in quel riportare tutto agli episodi e alle emergenze del lavoro, nella caparbietà imperturbabile con cui si passano varchi che sembra­ vano murati, con cui si comincia da capo - come di­ cendo « accade anche questo» - a filare il ragionamento e la ricerca da punti che sembravano abrogati o seppel­ liti dall'autorità di molti discorsi, da congetture bollate dalla stessa autorità come indizi d' attitudini ingenue. Accade anche questo. Accade, per esempio, che le « ri­ cerche dell'ordine biografico», dichiarate, in linea di massima, « estranee all'indagine immanente al testo», nella realtà tornino ad imporsi, poiché «può esistere una effettiva problematica del rapporto emittente come persona storica e leggi di strutturazione dell'opera». In tali casi, la «ricognizione di indici extratestuali» atti­ nenti ad «aspetti biografici distintivi» diviene comple­ mentare all'«analisi della struttura del testo». La Corti ricorda uno di questi casi «felici» incontrato nel suo lavoro: ricorda I'Ur Partigiano Johnny, testo di cui è possibile spiegare l'«impianto tematico» e il «registro stilistico» solo col contributo degli «indici extratestuali» 152

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