Il piccolo Hans - III - n. 11 - luglio-settembre 1976

dell'epos, nella società socialista; criticamente rendeva incomprensibile l'«anomalia» del grande romanzo del novecento, da Proust a Kafka a Joyce, sicché non re­ stava a · Lukacs che relegarlo nella facile scappatoia delle categorie di«decadenza» e di«crisi» (o più tardi, nell'Estetica, 1963) in quella della mera «analogia». Soprattutto - come sottolinea Strada nella sua In­ troduzione -«su un punto Bachtin non trova elementi di confronto in Lukacs ed è là dove, fuori della tradi­ zione hegeliana, egli fa del problema del romanzo il centro di una filosofia del linguaggio e di una teoria . generale del segno. E qui Bachtin è lungi dal cadere negli schemi del formalismo di tipo sklovskiano, di cui ha dato la critica più penetrante, individuando nell'im­ possibilità di rendere conto teoreticamente del romanzo la riprova della debolezza metodologica del formalismo, nonostante la vitalità innovatrice che il formalismo russo nel suo complesso ha portato negli studi letterari». 3. La difficoltà - e noh solo per il formalismo russo - consiste nel passaggio dalla più generale categoria di narrazione (la fiaba, il racconto, la novella) a quella spe­ cifica di romanzo. Le successive ricerche, sino a quelle di Greimas e di Todorov, hanno arricchito e appro­ fondito, anche da nuovi punti di vista specificamente connessi con le procedure grammaticali e sintattiche, la categoria di «narratività». Ma ancora, in un autore che viene dopo di loro e largamente (seppure in parte criticamente) ne utilizza i risultati, Claude Bremond (Logique du récit, Paris, Seuil, 1973) la questione del romanzo appare irrisolta, o meglio dissolta in quella più generale del racconto (récit). Può darsi che ciò si­ gnifichi, secondo una tesi da varie parti avanzate, che non si dia uno specifico del romanzo, bensì solo, appunto, una logica del racconto, o meglio del«raccontare», dato che le analisi di Bremond includono anche «poemi» e 144

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