Il piccolo Hans - anno III - n.10 - aprile-giugno 1976
sprecherà -lacrime e sospiri, ma sa benissimo che il duello è inevitabile. E a1la fine 1e conviene sperare che sia lui ad estrarre 1a pistola per primo. Quando gli interni dei film « nel'i» degli anni quaranta cominciano ad affac c i airsi sulla città (profittando anche dell'.invenzione tec nica dello « sharp foous»): perché rla città cioè la so cietà - tutta irntera è diventata infetta minacciosa cor rotta. Quando il rinnovato « colossal » degli Anni Cin quanta {« La Tunica», « Ben Hur», « Sansone e Daliila») pratica - tanto meglio se inconsapevolmente - questa distribuzione degli attori: inglesi1 le eroine: Jean Sim mons, Deborah Kerr, Claire Bloom, come esili devote fanciulle cristiane. Americani gli eroi: Robert Taylor, Kirk Douglas, Charlton Heston. Ma inglesi - di nuovo (non sono loro ji veri, gli unici cattivi imperialisti?) - i rappresentanti della « ruling olass»: Peter Ustinov, Alee Guinness, Laurence Olivier. Così si ,esprime questo cinema, fatto da tutti e da nessuno. Così rivela le sue intenzioni, le sue contraddizioni. E forse anche le con traddizioni del suo misterioso Autore. Così, come quando Charlton Heston-Mosé, alla fine dei « .Dieci Comanda menti» dà addio ail suo popolo e ascende la montagna su cui andrà a moriTe. Su una grande roccia si ferma, si gira, soHeva la mano a sa1utare. Ma quella mano - ecco un'intuizione che ognuno ha il diritto di invidiare a chi r l'ha fatta - non è una mano umana. Quel braccio è il braccio della Statua del l a Libertà, ufficiale e inerte. Quel saluto è il saluto (Michael Wood merita una cita zione testuale, a questo punto) « di quest'America para dossale, i r l parradiso democratico di un popolo che non ama H popolo». Ultimo punto: che uso fa il cinema medio americano di questa coscienza critica che ha dentro? Ne fa un uso astuto e originale, secondo Wood. .Porta il problema di fronte allo spettatore, ma gli consente poi di non affron tarlo di petto, di spingerlo verso una zona periferica 196
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