Il piccolo Hans - anno II - n. 6-7 - apr.-set. 1975

struiva il « momento » di un libro, le determinazioni storiche di un errore, seguivano argomentazioni lontane dai segni della cronaca e del quotidiano, compiutamente tradotte nella teoria di un progetto, senza riscontro - che vuol dire senza nessi e sviluppi discorsivi - per le contraddizioni e negli ardori « de l'espoir et de l'effort ». Donner toute sa place à la ville - Lier orga­ niquement la stratégie et la tactique - S'implanter localement dans les masses - S'enraciner pro­ fondément dans l'histoire nationale. Queste proposizioni da decalogo, che oompendiano Ja revisione di Révolution dans la Révolution?, vengono giudicate dallo stesso Debray ill prodotto di un « réfor­ misme théorique à court vue », la testimonianza di un ripiego personale, nelle pause forzate della lotta di classe, lontano dall'azione, daL1e necessità del momento - che impongono di lottare contro « les erreurs 1es plus me­ naçantes et en prenant le contre-pied » -, « dans le désoeuvrement morose de la prison » (p. 261). Eppure questi quattro punti accennano a1l'essenziale del pro­ gramma de La critique des armes: manca l'avvertimento che resta anoora da aggredire « le noyau rationnel » della guerra di popolo: la liquidazione del principio d'id,entità. Ma l'imperativo nuovo si pronuncia al 1limite del discorso, in un vuoto: non dice nulla dell'esperienza da fare, del modo di produrre la realtà che si deve produrre. Oltre l'autocritica c'è una certezza muta, un segno alfa soglia deil silenzio. Così il discorso segna il suo perimetro ininterrotto e sembra chiudersi sistematicamente con tutte le sue risposte. Questa è la somiglianza con , la critica di Contini. Il sistema, in un testo e nell'altro, predica la forma della ricerca. La poetica di Contini, dicevamo, non è 69

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