Il piccolo Hans - anno II - n. 5 - gennaio-marzo 1975

che istituzionali della Lettura. Questa gioia è la sola smagliatura in un mestiere tutto attestato al di quà dell'interpretazione. E si moltiplicano i frontespizi: « Hi­ pocryte lecteur, mon semblable, mon frère », dice il poe­ ta. Il verso riporta il critico dalla condizione di solidarie­ tà con l'opera alla condizione di chi è responsabile (se­ condo la morale di Baudelaire, secondo la nostra mora­ le), di ogni processo immaginativo: la produzione del te­ sto, ripercorsa nella sua alienazione fino all'abisso, (per questo i poeti, « nel tempo della miseria») preannuncia una realtà dove la lettura del testo e la lettura del mondo sono riportati alla stessa funzione, alla funzione cioè di un rapporto sociale non attraversato dalla legge dello scambio. Un rapporto sociale che faceva di ogni let­ tura un gesto, uno sguardo, un'accensione d'amore, in­ somma una permanente celebrazione del desiderio. Scri­ veva il Barthes di Critique et verité: « Seule la lecture aime l'oeuvre, entretien 1 avec elle un Tapport de dési'l". Lire, c'est désirer l'oeuw,e, c'est vouloir «%re l'oeuwe, c'est refuser de doubler l'oeuvre en dehors de toute autre parole que la parole meme de l'oeuvre ». Ma, come nella parabola, questa gioia solo a pochi è concessa: quando si siano bruciate nello spazio della let­ tura ,le connivenze libresche con i sistemi bibliografici (nevrosi erudita), le tentazioni di autodistruggersi e auto­ esaltarsi nella contemplazione del testo (mistica testua­ le), le preoccupazioni di trascrivere l'atto della lettura in esercizio di scrittura (didattica proiettiva). Solo quando il ruolo del critico è sepolto sotto il sen­ so del testo, può prendere potere ,la joie de lire. 170

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