Il piccolo Hans - anno II - n. 5 - gennaio-marzo 1975
che vuol vedere... Nè insabbiamento, integrazione, subal ternità alle parole e alle strategie dominanti, nè inquie tanti utopie e precarie esaltazioni rivoluzioarie. Il testo si contrappone al mondo. La metafora alla vita. La scrit tura alla politica. E il critico, libero e rassicurato, sotto nuovi cieli e su nuove terre, fa della interpretazione la sua casa. Finge di non sapere che la differenza fra il testo e il mondo è la differenza tra la sabbia e il mare: abissi e dune, giunchi e alghe, contaminazione, precarietà che tut to accarezza e violenta. E la risacca espone all'indagine impietosa del sole fossili rosi e senza memoria, biancore allucinato di ossi di seppia, frammenti edenici di conchi glie, sedimenti del tempo. Di questa archeologica e archeti pica contaminazione sono fatte le parole scritte sulla sab bia. Di questa memoria rigettata (e non distrutta) dal ma re è fatto il testo. Ma il critico ama sentirsi naufrago scampato ai pericoli della prassi, superstite approdato alla terra che solum è sua, e lui per essa, viandante che infine si riconosce nelle cose diventate parole, nelle in quietanti inquietudini pietrificate in linguaggio, nello sfruttamento "trasfigurato " in ritmo espressivo, nella oppressione sociale abbellita in perfezione formale. Sulla nuova terra il critico pianta la sua tenda. Il te sto è un territorio tutto da esplorare. Attrezzato di lenti binocolari, per vedere al di là delle possibilità della sua vista, di gru per rimuovere detriti, di strumenti di son daggio per riconoscere i minerali preziosi e la loro quali tà e per non acquietarsi sulle superfici ingannevoli, di ascie per farsi strada nelle savane di metafore, di esperte guide esegetiche per non smarrirsi nel deserto dove solo l'assenza appare, attrezzato di questi critici strumenti, il critico adempie i,1 suo mestiere con visibile soddisfazione (l'alienazione apppartiene agli impudenti che s'accanisco no ad attraversare il mare della vita). Ed egli può perfi no contemplare, la sera, dalla riva, dall'altra riva, la folla 167
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