Il piccolo Hans - anno II - n. 5 - gennaio-marzo 1975

sgualciti che mille volte mi fanno ritornare nella mia ca­ mera, sospendere la voce distinta che mi perde sempre più lontano, per blocchi di dolore che piegano il testo. E' la camera dei ritorni, delle riprese dei beni rubati ma ,soprattutto non c'è camera. Af massimo si può immagina­ re, sostituendo in anticipo i segni con altri segni, il ponte bagnato di un battello con i rumori abituaH del mare e dei motori, dispositivo ben inteso propizio allo slitta­ mento delle intenzioni. Così protetta dal rollio di una retorica di cui abbiamo rimpinzato il becco dei mari, ri­ torno nella camera, o piuttosto sulla passerella, traspor­ tando a passi pesanti l'enunciato del mio godimento pro­ messo, la domanda inutile poichè è lui, mio padre, che la enuncia avanzandosi nel mio programma divorato di ne­ ro, questo enunciato senza uscita della mia avidità: tanto vale, della paccottiglia. Questa legge che agisce in quanto contabile generale del desiderio che impone la metà della sua lingua all'altra metà dell'altro che non offre alla donna che il cerimoniale del suo suicidio sociale che de-nomina e nomina con il sesso estraneo che compie la mia morte fittizia è la legge della guerra, del fascismo. Fuori da questi limiti, non spunta niente, nessuna traccia - la notte s'inclina. Vi parlo di una guerra, di nomi caduti a caso, nomi braccati, imprestati, falsificati, bruciati, barattati, fucila­ ti - un'esperienza che vi prende il nome e vi getta, sen­ za resti, nei segni dissipati, le ossa. Ma di questa guerra non potete incrociare che la collera deposta, dispesa e 161

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