Il piccolo Hans - anno II - n. 5 - gennaio-marzo 1975

Da tempo il dibattito letterario italiano è svolto sotto il segno di una problematica che non è letteraria, che sovrappone al fare letterario un'ideologia che non è lotta ideologica, un contraddirsi che non è contraddizione, per­ ché mimando discorso politico e prassi poetica riunisce, nella problematica della comunicazione, i ribelli e gli adepti. Già con l'ermetismo l'operazione è in pieno svolgi­ mento. Sotto una scelta definitoria che sin dalla denomi­ nazione della corrente si rifà apertamente al linguaggio in termini di comunicazione ( ermetici, appunto) la lette­ ratura - secondo una celebre definizione di Carlo Bo - si fa vita. Vita, qui, del soggett.o nella sua interiorità, inef­ fabilità dell'animo, modalità di parvenza dello spirito: che è quanto dire forclusione del linguaggio. La torre d'avorio degli ermetici è la turris eburnea della vergine madre del Cristo, non ancora fattosi operaio. La reazione anti-ermetica del neorealismo (la « critica rivoluziona­ ria ») sposta il pendolo in favore di una comunicazione comprensibile, sociale, e persino, si dice, di un nuovo committente: le masse popolari. Neo-realismo/neo-avanguardia. Altra oscillazione del pendolo: ma il fulcro intorno al quale di nuovo si oscilla non è mutato. Diastole/sistole dello stesso cuore: quello della Comunicazione. E ora la « letteratura selvaggia». Questo fulcro comunicativo è « il linguaggio d'Italia» quale risulta dall'uso che il potere della borghesia - clas­ se ascendente prima, dominante poi - ha rispettivamen­ te fatto della prosa « letteraria » di Alessandro Manzoni e di quella « scientifica » di Benedetto Croce. Il linguaggio d'Italia che è quello fissato da un linguista ufficiale come Giacomo Devoto il quale pone la prosa di Manzoni e quel­ la di Croce « come modelli validi e insuperati», e aggiun­ ge: « E come il modello manzoniano supera indenne le due parentesi carducciana e dannunziana entrambe or- 129

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