Il piccolo Hans - anno I - n.3 - luglio-settembre 1974

Citerò qui una frase di un articolo di Charles < >, che m'è parso particolarmente interessante. Sono un po' imbarazzato di dirlo, poiché l'ho pubblicato nell'ultimo numero apparso ài Critique, ma c'è una frase in partico­ lare che m'è rimasta impressa, che mi sembra molto si­ gnificativa. Ecco come egli definisce a un certo punto il riso. Non è una definizione del riso per essere precisi. E' una definizione della posizione di colui che ride . Essa implica, secondo Charles < >, il rifiuto di accettare ciò che nel più profondo di noi stessi sappiamo. In effetti, chi ride, in linea di massima, non abbando­ na la sua scienza, ma rifiuta di accettarla per un certo tempo, un tempo limitato, si lascia sorpassare dal movi­ mento del riso, in modo tale che ciò che sa è distrutto, ma in fondo a se stesso egli conserva la convinzione che tuttavia non è distrutto. Colui che ride conserva nel più profondo di se stesso ciò che il riso ha soppresso, ma che non ha soppresso che artificialmente, se volete, dato che il riso ha la facoltà di sospendere una logica molto serrata. In effetti, quando siamo in questo campo, possiamo be­ nissimo conservare delle credenze senza crederci, e reci­ procamente possiamo sapere ciò che nello stesso tempo distruggiamo come conosciuto. Ho ripreso qui il tema che avevo sviluppato l'ultima volta quando avevo parlato del gioco minore opposto al gioco maggiore. Vi è un riso maggiore accanto a un riso minore. Io non voglio limitarmi a parlare oggi del riso maggiore, ma è tuttavia a questo riso maggiore che mi riferisco essenzialmente. Il mistero più curioso che è dato nel riso è legato al fatto che ci si rallegra di qualcosa che mette in pericolo l'equilibrio della vita. Ci si rallegra anzi di questo nella maniera più forte. Credo che d'altronde sia il caso più che mai di far presente che non si può considerare una questione come 95

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