Il piccolo Hans - anno I - n.3 - luglio-settembre 1974

suoi effetti mi sembrano poter essere dissociati da una espressione come quella. Se volete, c'è questo d'importante per me, nella misu­ ra in cui parlo del riso, è di situarlo nel punto di slitta­ mento che conduce a questa esperienza particolare, il riso che diventa divino nella misura in cui può essere il riso che si ha nel veder sprofondare una natura tragica. Non so se non c'è malgrado tutto qualcosa che m'infastidisce nell'espressione di Nietzsche. Essa è forse un po', non dirò magniloquente, ma un po' troppo tragica. Infatti, dal momento che si chiarisce l'esperienza di ciò che è propriamente tragico, fino alla possibilità di poterne ri­ dere, tutto è alleggerito, tutto è semplice, e tutto potreb­ be essere detto senza alcuna specie di accento doloroso, senza alcun appello a emozioni altro che superate. In effetti, è, io credo, questo che caratterizza il riso all'interno di quell'insieme di effetti che io lego al non sapere, è che esso è legato a una posizione dominante. Nelle lacrime, per esempio, l'esperienza che si fa del non sapere, di ciò che è dato quando si piange, non è un'espe­ rienza in cui ci si ponga in una posizione dominante. Si è nettamente sorpassati. Ebbene è necessario a questo proposito precisare che il superamento dato nel riso non ha grande interesse, :fin­ tanto che non è il superamento che la frase di Nietzsche indica. In generale, si ride a condizione che la situazione dominante in cui ci si trova non sia alla mercè del riso, dell'oggetto del riso. E' necessario per ridere, ad esempio, che non si rischi di perdere la propria posizione do­ minante. Se volete, per riprendere i termini che ho proposto or ora, se il riso è l'effetto del non sapere, di massima il riso non ha per oggetto il fatto di non sapere; non si ac­ cetta, per il fatto che si ride, l'idea che non si sa niente. C'è qualche cosa d'inatteso che succede, che è contrario, che è in contraddizione con il sapere che si ha. 93

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