Il piccolo Hans - anno I - n.3 - luglio-settembre 1974

mune a me e a Nietzsche. Ho avuto spesso un modo di presentare le cose piuttosto bizzarro, credo, dicendo che mi sentivo unito con il pensiero di Nietzsche, con lo stes­ so Nietzsche, con l'esperienza di Nietzsche, da un legame fondamentale. E in linea di principio, ci si può chiedere se questo ha poi un gran significato, noi siamo tutti isolati, da un essere all'altro la comunicazione è minima; d'altra parte, la mia interpretazione di Nietzsche poteva essere contestabile. Tuttavia, io insisto su questo punto, e c'è una ragione che non è semplicemente una ragione intellettuale per questo accostamento tra ciò che Nietzsche è stato e ciò che io sono, ne sono convinto. Questa ra­ gione è che vi è una sorta di esperienza molto particolare che mi pare propria a Nietzsche e propria a me stesso, allo stesso modo che, per esempio, l'esperienza di Santa Teresa è propria a San Giovanni della Croce come a San­ ta Teresa, se volete, per il fatto che essi sono ravvicinati sul piano di una comunicazione data nel dogma e nel­ l'appartenenza a una stessa religione. Questa comunità può ritrovarsi fra due esseri, al di fuori dell'appartenenza a una comunità religiosa. E' per questo che ho parlato di comunità parlando di Nietzsche. Ciò vuol dire esatta­ mente questo: credo che vi sia un rapporto tra il pen­ siero e l'esperienza di Nietzsche e la mia, analogo a quello che esiste in una comunità. Non voglio d'altra parte restare nel vago a questo pro­ posito. Credo che il pensiero di Nietzsche renda ben af­ ferrabile questa esperienza. Essa è data in particolare, naturalmente, nell'importanza che Nietzsche attribuiva al riso, e questo in un gran numero di passaggi, ma soprat­ tutto in un testo piuttosto tardivo nell'opera postuma: « Veder andare a picco la natura tragica e poterne ridere, questo è divino». Non penso che quel che dico in gene­ rale quando parlo del non sapere e dell'esperienza. I 91

RkJQdWJsaXNoZXIy