Il piccolo Hans - anno I - n.3 - luglio-settembre 1974

vazione. Torna da Ginevra senza motivo. E' ferito, mo­ ribondo, ma sta benissimo. Per quanto vicini possano essere, qui l'uomo e la donna non si incontrano. Lo sguardo fisso e inespressivo, Lancillotto e Ginevra hanno la meccanicità di un récit senza interpretazione e senza guida. Il loro amore non solo è impossibile ma anche del tutto superfluo. E il superfluo rende impossibile psi­ cologizzare l'impossibile. Per fortuna fin dalla prima in­ quadratura (la corazza dalla testa troncata che ci appare è già Lancillotto), per fortuna, dicevo, Lancillotto ha la testa altrove. In Il portiere di notte, invece c'è una testa in più. Ne fa dono, accuratamente incartata, Max a Lucia al campo di concentramento. « Max: Lei, mi chiese soltan­ to di trasferirlo. Non so perché improvvisamente mi venne in mente la storia di Salomè... e non ho saputo resistere». Invece Max resiste. E' l'unico dei camerati che resiste al senso di colpa. Lancillotto, al contrario non resiste, ha sempre le gambe molli, cede a Ginevra, cede Ginevra. Una Ginevra priva di ogni fascino del feminino, una Ginevra con lo scialletto che dimentica qua e là (ma dove ha la testa), ma non, si noti bene, non una Ginevra parodia, non una Ginevra attualizzata, ma sempre una Ginevra nella lontananza della leggenda, una Ginevra semmai sfocata dalla lontananza. Nel portiere di notte c'è una testa in più. E questo è il lapsus. Lei, mi chiese di trasferirlo. Ma come fa Max a trasferirlo se il film, con­ tro !'altrove, è quello dell'hic et nunc, dove lo trasferi­ rebbe se nessuna Macbeth evoca fantasmi vindici da un al di là, non c'è nemmeno al di là, tutto è qui, il nazismo chiuso nel rapporto me te. Il riconoscimento guadagna il basso. Ma è la testa che scende. La pubblicità di Paolo il caldo (e di molti altri film sulla scia) mostra un grande culo che è faccia, una faccia sovraimpressa al culo. Quando in Sade, il didietro è il fascino del non vedere, quando in Bataille, l'orecchio 37

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