Il piccolo Hans - anno I - n.3 - luglio-settembre 1974
te rassicurante dell'abitudine alla vertigine di un insen sato smarrimento. A misura che l'autoestraniazione del l'io dal mondo si compie, l'orrore di questo mondo, di venuto abisso agghiacciante, acquista un'inspiegabile com pattezza, prendendo la forma stessa delle cose, aderen do alla fatica incessante dei discorsi. Il terrificante vuoto dell'estraneo si mantiene nel modo dell'essere familiare. A misura che la vita si cerca, si smarrisce, e l'io che vuole e crede di possedersi, si perde. Ogni sapere di più - potremmo dire rovesciando Husserl - è un non sapere progressivo, nel senso che il mondo come oriz zonte del non sapere si frantuma, così come la certezza della fede nel mondo 15 • Scrive Kafka che la « distruzione di questo mondo sarebbe il nostro compito» « se noi fos simo in grado di distruggerlo». Ma è proprio questo che non siamo in grado di fare. « Noi non possiamo distrug gere perché non l'abbiamo costruito come qualcosa di a sé stante, ma vi ci siamo perduti dentro, più ancora: questo mondo è il nostro stesso smarrimento, ma come tale è, esso medesimo, un'entità indistruttibile, o meglio: qualcosa che può essere distrutta solo col portarla sino in fondo, non col rinunciarvi, dove occorre osservare peraltro, che anche il portarla . sino in fondo non può essere altro che un seguito di distruzioni, sempre però nell'ambito del mondo stesso» 16• A questa aporia estrema giunge il movimento dal noto - al non-noto, dal familiare all'estraneo: questo mo vimento non è quello della conoscenza, ma della para bola, e parabola è ancora un termine per indicare Gleich nis. Compito dell'uomo è la distruzione del mondo (esso - dice Kafka - « è in contrasto col nostro spirito»), ma l'uomo si smarrisce nel mondo così da fare di quello il suo stesso smarrimento e in quanto tale esso diventa indistruttibile. Si può distruggere qualcosa solo se lo si porta sino in fondo (« nur durch seine Zu-Ende-Fiih rung») 17, se gli si dà un ' compimento '; per questo 138
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