Il piccolo Hans - anno I - n.3 - luglio-settembre 1974
vedere che uno degli ascoltatori, l'ultima volta, m'ha do mandato se non potevo dire qualcosa come: in queste condizioni, che cosa bisogna fare? Credo che la questione non fosse così mal posta come da me ora, ma è quasi lo stesso. Ciò che avevo detto era molto semplice. Avevo fatto notare che il gioco richiedeva una certa arditezza, e che era nell'arditezza del gioco che si poteva trovare la sola possibilità, nell'arditezza del gioco in cui niente è mai dato, in cui, tutto sommato, non si può avere alcuna ga ranzia. Tutto questo è da far apparire in una coerenza relativa in rapporto a ciò che ho appena detto. Ma vorrei dare un'idea più sensibile di ciò che ho da aggiungere ora. Ho letto, qualche giorno fa, un libro che probabilmen te un certo numero di voi avrà letto, un libro di Hemin gway che s'intitola « Il Vecchio e il Mare», e sono stato colpito, dopo la lettura di questo libro, accorgendomi che la morale di Hemingway, tutto sommato, è una morale assai ben nota. Dico la morale di Hemingway, perché è evidente che egli ha delle preoccupazioni morali, e sareb be un torto non vedere la morale nella sua opera. E in fondo, è molto semplice, è la morale del signore, la mora le del signore secondo Hegel, non credo secondo Nietzsche, ma questo può essere precisato. Hemingway ama insomma solo ciò che potevano ama re gli uomini che avevano adottato l'atteggiamento del si gnore. Il signore è un uomo che può cacciare, che può pescare, che non lavora. Il signore affronta la morte per gioco, ed è sempre questo che interessa Hemingway. Non lo si vede rappresentare, per esempio, un eroe del lavoro. Egli rappresenta sempre uomini che prendono un rischio su di sé, e non un rischio in cui l'angoscia entra come una distruzione. C'è sempre qualcosa di sorpassato, di vinto, dai personaggi di Hemingway . Ora è probabile che questa maniera di sorpassare sia più sensibile nell'ultimo libro che ha scritto: « Il Vecchio e il Mare». 105
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