Il piccolo Hans - anno I - n. 2 - aprile-giugno 1974
sfugge a ogni tentativo che tenda a riportarlo nell'ambito di un'indagine «genetica». Potrebbe essere di un certo interesse esaminare gli sforzi compiuti, dentro e fuori la psicoanalisi, da coloro che, in contrapposizione implicita o dichiarata all'ipotesi della differenza costituita, iscritta ineluttabilmente nel linguaggio, hanno tentato di «colmare» la differenza situandosi al di qua della rappresentazione. Che è poi lo sforzo, in fin dei conti, per superare il «disamore» del soggetto nei confronti di un reale dolorosamente sfuggente e irraggiungibile. E' certo: smascherare il reale non vuol dire necessariamente, una volta ripulito dalla 1 scoirZia mooz,ogniera, potedo ·«,riamare», oosì come acoet tare la frustrazione, che, nella teoria di Bion in parti colare, segna l'accesso al pensiero, non significa ancora espungere la «colpa» dal desiderio. Per sfuggire da una sorta di metafisica del «deside rio impossibile» ci si batte, si combatte su due grandi linee che, grosso modo, possono essere ricondotte da una parte alla negazione radicale della rappresentazione, e dall'altra all'assunzione, depressa o gioiosamente con tenuta, della dimensione illusoria. Il corpo, estraneo alle esigenze della rappresenta zione, forza polivalente e produttiva di flussi che reci dono altri flussi, corpo-macchina che non si lascia im prigionare da nessuna struttura, che non si riconosce nella discontinuità del linguaggio, che rifiuta di essere iscritto nell'arbitrarietà del segno, può il corpo ridare in dono le « meraviglie» dell'innocenza, della sponta neità e dell'ignoranza che, in qualche modo, sembrano definire l'inconscio? E può, per essere detto, fare a meno, non soltanto del significante, ma anche della grammati cabilità del pensiero? «Non saranno - come dice Green - i travestimenti lirici del discorso che lo [il pen siero] faranno dimenticare» 9 • La dimensione illusoria: la «corposità» dell'oggetto 109
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