Pègaso - anno V - n. 6 - giugno 1933
7 2 4 M. Moretti — Fatemi bene il piacere, — interruppe l u i irritato, con u n gesto di ripulsa netto, preciso, dicendo chiaramente che non aveva nessuna voglia di sentir parlar del suo stato. — Che modo è questo? Capisci che sono la mamma? Capisci o non capisci che sono la mamma? e che voglio tutto i l rispetto per– c h é . . . . p e r c h é . . . . Basta di farsi mettere i l piede sul collo dai figlioli! Fortunato, E v a r d o , l ' A n i t a . . . . i figli d'adesso.... — Fatemi il piacere di star zitta, — t a g l i ò corto l u i , questa volta quasi senza ira ma anzi con una calma che respingeva senza pietà l'angoscia materna. — Io debbo star zitta? N o n sai come mi rispettano i n paese? N o n sai che alla barca p i ù bella hanno dato perfino i l mio nome? — E che cosa volete che me ne importi? C h e me ne importa, a me, se hanno dato il vostro nome.... a una barca? Peuh, u n bara- gozzo.... Sì che me ne importa! sì che me ne importa! V o g l i o vedere quest'Andreana! M i farò mostrar subito quest'Andreana! L ' A n d r e a n a pensa all'altro figliolo che ha osato beffarsi a l – trettanto bene di questa barca regina, e, come allora, come allora, sentendosi estranea alla sua stessa carne, ora malata, al suo stesso sangue, ora guasto, le vien fatto di stringere i pugni. - Dunque egli non appariva diverso dai figli d'adesso quali E v a r – do, Fortunato, l'Anita : ma almeno costui era bizzarro perché soffri– va, perché viaggiava con la valigia piena di medicine, perché aveva un polso esile, quasi azzurro, da cui pendeva la catenella d'oro (regalo anche questo della Ballarin), perché aveva quegli strani occhi i n – cavati nell'orbita scarnita, perché doveva rientrare in sanatorio i l ventisette del mese, p e r c h é . . . . Questo ragazzo mangiava, rideva e si faceva beffe della barca e di tutto, ma la sua allegria aveva alcun– ché di lugubre come i l suo appetito, come le sue richieste fragorose e millantatrici di tè, panna, burro, miele, marmellata, yoghourt. U n a volta c o r r u g ò la fronte e c o n s i d e r ò sua madre a lungo, in silenzio. Pareva volesse imprimersi bene nel cervello le linee di quel volto prima di tornare sulla « Montagna magica » con quel suo eterno scialle a scacchi gialli e turchini. — Povera mamma! — gli s c a p p ò detto a voce bassissima. L a madre si volse, si protese come aspettando. — Sai come mi chiamava quell'altro? — g r i d ò quando com– prese che i l figliolo non avrebbe p i ù continuato. — « Autrice dei miei giorni.... autrice dei miei giorni.... » .
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