Pègaso - anno V - n. 6 - giugno 1933

7 2 2 M. Moretti vedeva sempre per casa. A l tempo di A n i t a si trovavan libri un po' da per tutto, ma erano libri di scuola e non avevan niente di lugubre. Queste poche pagine puzzavano invece di creosoto. E non si sapeva ancora come fosse morto questo disgraziatissimo personaggio. — T i s i c o , — disse l u i infine imperterrito. A poco a poco c o m i n c i ò a prendere confidenza e non si p e r i t ò di dar spiegazioni non richieste, divertendocisi a irritare o a scon– volgere chi lo ascoltava e continuava a guardarlo non già come u n malato ma come un fenomeno della natura o come un cattivo sog– getto. Spiegava l'operazione del pneumotorace, l'introduzione del costosissimo azoto, non senza sorridere di questa imperiosa neces– sità di farsi riempire periodicamente di gas, benché lui, i n verità, non appartenesse alla stimabilissima Società del M e z z o Polmone. . O r a diceva che la Società del M e z z o Polmone l'aveva tro– vata nella « Montagna magica » di T h o m a s M a n n , ed era proba– bile che a Davos, nei sanatori p i ù eleganti, si usassero volentieri espressioni così pittoresche e brutali. Pareva si vantasse d'aver por– tato con se, fra i medicinali in scatoline e boccette, questo romanzo interminabile di cui non vedeva intorno il secondo tomo, spesso co– me una pietra tombale (era caduto sotto la tavola e i l fantolino chioggiotto, anch'esso sotto la tavola, gli stava aggiustando ai lati due ali d'ossi di seppia). Scontento della poltrona che non gli per– metteva di vivere abbastanza « orizzontalmente », come « lassù », aspettava che lo chiamasse a tavola i l suono del gong e si seccava che gong non ci fosse; talvolta voleva perfino i l suono delle campanelle degli armenti come si udiva a quando a quando « lassù » ; o anche, e p i ù , dopo cena, sentiva la mancanza d'un po' di società internazio– nale del gentiluomo czeco, della poetessa francese, seccatissimo di non poter passare nella stanza degli strumenti ottici per la conversazione serale. E come giocare a bridge fra chioggiotti? Quando voleva misurarsi la temperatura, faceva l'atto di met– tersi i l termometro in bocca e i chioggiotti ridevano come se l u i avesse intenzione di mangiarsi i l tubetto di vetro coi segni rossi e neri, e i l mercurio. I l malato accennava i l tomo della « Montagna magica » abbandonato in cima a una pentola capovolta e diceva che a Davos si faceva proprio c o s ì : s'introduceva l'estremità piena di mercurio sotto la lingua, in modo che- lo strumento sporgesse obliquo, verso l'alto, dalle labbra che si chiudevano per non lasciar passar l'aria esterna. Ignorantoni! Perché ridere tanto? E loro dove se lo ficcavano i l termometro? A h , brutti porci! Meglio la bocca che i l . . . . M a qui sopravveniva l'Andreana irritata, e con quell'altro

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