Pègaso - anno V - n. 6 - giugno 1933

L ' Andreana 7 2 1 ciale suddiviso in tre parti e il rullo per la nuca; tanto ch'egli s'era abituato a sbrigare la corrispondenza restando sdraiato : alzava le ginocchia ad angolo, v i appoggiava la cartella e acquarellava con vero senso d'arte o scriveva. Che più? U s u f r u i v a della cura serale sullo sdraio per dedicarsi all'astronomia. A un certo punto, alle quattro, fece un viso quasi cattivo, tossì e si p o r t ò il fazzoletto al naso, poi alla bocca, e nel fazzoletto guar– d ò di sfuggita. C o n quel viso cattivo dichiarò placido ; •— H o fame. — L ì per lì la donna parve intontita. — Cinque o sei pasti al giorno, — c o n t i n u ò lui dispettoso. — I n sanatorio ogni tanto.arriva un cameriere e un vassoio di dolci, biscotti, tartine.... Avete del tè? della marmellata? del yoghourt? del burro? della panna, del miele? — I l tè? O h D i o , l'Anita lo sapeva bene cos'è.... I l caffè, fa lo stesso i l caffè? M a : — T e e me.... T e e me... — borbottava stupidamente l ' i n – valido e guardava i l nuovo venuto come se volesse ridergli in faccia. Spesso Nondo faceva così; pareva si vendicasse del modo come quello lo trattava, senza dargli nessuna importanza, dal momento che non era nemmeno suo padre. L a donna invece gli stava intorno, umiliata e pure accigliata, pensando che Fortunato avesse i suoi di– fetti c ó m e figliolo, ma non fosse così difficile, da non sapersi mai come prenderlo. A l l ' o r a esatta chiedeva lui il torlo d'uovo. Pareva lo ingol– lasse con tutto i l cucchiaio, tanto egli prendeva sul serio i l sistema ( c o s ì diceva) della « superalimentazione ». N o n aveva fame e traeva fuori dal portafogli ben fornito una carta da cinquanta o da cento . lire (pagava la Ballarin) e gettava là volgarmente : — Comprate– mi dello zucchero, del tè, del cacao, della marmellata, della panna, del miele. Compratemi una bella bistecca; una bistecca larga così. — E ingollava o masticava, imperterrito, senza una smorfia, forse perché in sanatorio così si màstica e ingolla allo stesso modo che si tengon le finestre aperte d'inverno. G l i avevan procurato una se– dia a dondolo, e si dondolava non lungi dal poveretto costretto nella poltroncina di vimini, e pareva che i due invalidi si guardassero con un certo disprezzo, specie quando l'uno smetteva di contare i mattoni e l'altro appoggiava sulle ginocchia i l giornale illustrato pieno di belle donne o l'opuscolo che stava leggendo : « Come m o r ì i l duca di Reichstadt » (lo aveva già letto cinque o sei volte). Questo libercolo puzzolente dava noia alla donna che se lo

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