Pègaso - anno V - n. 6 - giugno 1933
6 6 2 A. Zottoli si è cinto, p u ò giustificare quella trepidazione unanime d i donne e d i donzelle che, rialzandone la figura, n o n l o fa scomparire d i fronte alla solitudine eroica dell'avversario. C i ò per n o n dire che nel com– plesso del poema quell'episodio fa gioco anche pei suoi d i f e t t i , per es. per q u e l l ' a r t i f i c i o s i t à pesante e circonvoluta, che, tenendoci o p – pressi p r o p r i o nel p u n t o critico, fa che la scena finale sopraggiunga nella sua semplice grandezza n o n solo come la chiusa del poema, ma anche come una liberazione del nostro s p i r i t o . E per n o n dire anche che nel disegno generale i due episodi a g g i u n t i nell'edizione del ' 3 2 n o n possono essere scompagnati, avendo una funzione simmetrica, la funzione cioè d i fare che ciascuno dei due eroi del poema, p r i m a d i affrontare i l r i v o l g i m e n t o p i ù i m p o r t a n t e della sua v i t a , riveli, come nelle prime redazioni ancora n o n faceva, la p r o p r i a q u a l i t à caratteristica i n t u t t a la sua forza. M a con queste osservazioni siamo nel campo dei r i t o c c h i nel quale l ' u n i t à agisce come un'esigenza riflessa; invece d i guardare alla s p o n t a n e i t à con cui A r i o s t o accetta le cose e si obblia i n esse, guar– diamo alla decisione con cui vuole e a g l i scaltrimenti con cui sa ser– virsene. Ora la caratteristica del « Furioso » è p r o p r i o i n q u e l l ' u n i t à che le cose t r o v a n o da sé e i n cui si adagiano quasi contente d i se stesse. L à è quello che siamo a b i t u a t i a chiamare i l riso ariostesco. T u t t i abbiamo visto quel riso quasi impercettibile che aleggia su t a n t i ritratti dell'epoca. T a l e riso n o n testimonia d i u n ' i n d o l e particolarmente gaia della persona r i t r a t t a , e t a n t o meno sta lì a d i r c i che i l p i t t o r e si è data la pena d i coglierla quando era s o t t o l'effetto d i p a r t i c o l a r i cause letificanti; ma stacca la figura dalla v i t a e l'isola i n se stessa. N e l sorridere, la persona t r o v a l ' u n i t à e l ' i n – dipendenza d i cui ha bisogno per diventare oggetto d i u n r i t r a t t o ; dal suo atteggiamento traspare la coscienza che ha d i t r o v a r s i d i fronte a u n artista e d i cooperare con l u i venendo i n c o n t r o alle sue esigenze, cioè prendendo una posa, con la quale esce p r o v v i s o r i a – mente dalla v i t a e i n i z i a la sua trasformazione i n opera d'arte. I l riso dice che essa, per mettersi nelle c o n d i z i o n i d i esser fedelmente riprodotta, si è sottratta a t u t t i i t u r b a m e n t i della v i t a che avreb– bero p o t u t o far passare sul suo v o l t o l ' o m b r a d i una causa estranea. È solo se stessa ed è contenta d i esser solo se stessa. Se invece d i quel riso vago e senza causa che la tiene come lontana da n o i e chiusa nella sua figura, i l v o l t o manifestasse una qualsiasi commozione, la persona tenderebbe a uscire f u o r i dei l i m i t i del quadro, p e r c h é i l suo atteggiamento n o n dipenderebbe dall'accordo i n t i m o delle sue forme, ma dalla v i t a esteriore produttrice della commozione.
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