Pègaso - anno V - n. 6 - giugno 1933

Il centenario dell'Ariosto 6 5 9 chiarato Francesco Bello i n suo rozzo sermone; e poco i m p o r t a se tale dichiarazione era i n l u i giustificata da considerazioni d'indole pratica. Boiardo portando quella finzione nell'ambiente leggero e d i s t i n t o dei giochi d i società, aveva certo c o n t r i b u i t o a toglierle se– r i e t à , ma anche a darle modo d i farsi omogenea con g l i a l t r i ele– m e n t i ; coi m o t i v i classici per es., che, dopo essersi staccati dalla letteratura greca d i cui erano indigeni, per passare i n quella latina, € dopo essersi staccati, i n seguito al t r i o n f o del Cristianesimo, an– che dalla concezione pagana della v i t a , per diventare u n fatto p u – ramente ornamentale, nel rinascimento, per i r i p e t u t i t e n t a t i v i che s i facevano d i trattare i n l a t i n o la materia moderna e d i trasportare i n volgare quelle che sembravano le bellezze insuperabili della clas– sicità, avevano acquistato u n valore per cosi dire contemporaneo. L'epopea cavalleresca non poteva diventare omogenea con quei m o – t i v i finché restava fedele ai suoi n o m i teutonici e alle sue ruvide cre– denze; se voleva entrare nel poema del rinascimento, doveva anche essa dimenticare le sue o r i g i n i per diventare u n fatto del rinasci– mento. N o n bastava che rigettasse le forme francesi o francesizzanti che durante la sosta francoveneta avean sembrato garentirne l ' a u – t e n t i c i t à alle masse p o p o l a r i della marca gioiosa; non bastava nem– meno che si lasciasse trattare i n modo p i ù libero dalla prosa toscana cercando una coerenza destinata ad appagare la c u r i o s i t à dei l e t t o r i . Doveva, questo sì, rimaner fedele a l l ' o t t a v a , p e r c h é l'avvento d i que– sta ebbe u n ' i m p o r t a n z a decisiva. N o n m a i u n istrumento d'arte ha avuto, come l ' o t t a v a , la v i r t ù di dirigere l'opera d e l l ' u o m o . N o i i n quei r o z z i cantari a n t e r i o r i al « Furioso » t a l v o l t a perfino d i tre secoli, n o n l o avvertiamo; ma la v e r i t à è che, quando l ' o t t a v a sopravvenne, i l poema cavalleresco non fu p i ù padrone del suo av– venire : le cose procedettero come se l ' o t t a v a si fosse i m p a d r o n i t a della materia cavalleresca, e n o n la materia cavalleresca dell'ottava. I l g i r o lucido d i quella strofa, era f a t t o per fondere g l i elementi d i origine p i ù varia : sembra che t u t t o ciò che una v o l t a sola fosse en– t r a t o nel suo recipiente, avesse acquistato i l d i r i t t o d i restarci per sempre. A r i o s t o l'accolse con la tendenza già i n atto che era i n essa, e la spinse fino al termine dello sviluppo, p e r c h é quella strofa n o n ha m a i come nel « Furioso » obliterate le sue o r i g i n i liriche per farsi semplicemente raccontatrice ed espositrice; ma nell'accoglierla A r i o s t o f u rimandato a precedenti che n u l l a avevano d i comune col romanzo e la cavalleria. A r i o s t o accettava le cose al p u n t o i n cui le trovava, ma nel solo m o d o i n cui potessero essere accettate cioè nel l o r o sforzo attuale

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