Pègaso - anno V - n. 6 - giugno 1933

// centenario dell'Ariosto 6 5 5 ma, a guardarle, si ha l'impressione che quelle i m m a g i n i tendano a staccarsi dal componimento, i n cui sono adoperate e isolate, per sollevarsi i n u n a l t r o piano, nel piano della l o r o vera ispirazione fantastica nel quale sono nate e nel quale non erano destinate a vivere come straniere l'una con l ' a l t r a . Anche q u i l'argomento è l'ossatura su cui la poesia si sostiene, n o n l'anima d i essa; ma è un'ossatura che, diversamente da quanto avviene nel « Furioso », n o n ha n u l l a d i comune con l'organismo d i cui v u o l far parte. N e l « Furioso » q u e l l ' u n i t à che altrove è vaga aspirazione, diventa u n f a t t o concreto, quale forse solo i n esso poteva prodursi, p e r c h é solo i n esso sono presenti i n t u t t a la l o r o v a r i e t à g l i ele– m e n t i da cui l'ispirazione del tempo traeva la sua forza. Se c'è uomo che abbia avuto u n convegno dalla storia, questi è A r i o s t o ; egli s'è t r o v a t o nel q u a d r i v i o i n cui tutte le voci della poesia s ' i n – contravano, nel varco per i l quale tutte le aspirazioni e i f r a m – m e n t i d i u n mondo letterario i n formazione erano o b b l i g a t i a pas– sare. E d egli era l ' u o m o f a t t o per accoglierli t u t t i . Quegli elementi v a r i e i n apparenza disparati, confluendo i n l u i , si accorgevano d i essere della stessa famiglia, e si risolvevano senza residui nel– l ' u n i t à della rappresentazione cavalleresca. Anche B o i a r d o era stato sfiorato, se n o n da t u t t i i soffi d i poesia che p o i investirono A r i o s t o , almeno da m o l t i , è vero; ma da uno per v o l t a , v o r r e i osservare; e quando l ' u n o succedeva, l ' a l t r o era già caduto nella dimenticanza come se mai non fosse esistito. Anche i n questo egli era, come i suoi eroi, l ' u o m o d e l l ' a v – ventura, schiavo sempre d'una sola passione, d i quella del m o – mento. N o i sappiamo che anch'egli aveva f a t t i i suoi esercizi d i l a t i n o , e n'erano v e n u t i f u o r i dei versi non sempre spregevoli, per– ché anche i n essi si avverte p i ù d'una v o l t a l ' o r m a della sua grazia. M a sappiamo pure quale traccia quegli esercizi avessero lasciata i n l u i , p e r c h é dopo pochi anni l o t r o v i a m o così completamente d i – mentico delle sue conoscenze d i l a t i n o da non riuscire a tradurre senza m o l t i spropositi nemmeno i testi p i ù facili. L ' a v v e n t u r a del l a t i n o era oramai passata; altre gliene offriva la v o l u b i l e vicenda della v i t a . D a l contatto con g l i a u t o r i antichi g l i restavano, se p u r n o n avevano altre o r i g i n i p i ù vicine, delle favole nel fondo della memoria; ma non g l i restavano capacità permanenti nello stile, n o n m o d e l l i nella composizione, n o n freni nella fantasia. E g l i era t r o p p o preso dalla v i t a che passa, p e r c h é potesse ascoltare i r i c h i a m i della poesia che v u o l essere eterna. Fossero p u r tirate via le sue i m m a g i n i , a r b i t r a r i i caratteri dei suoi eroi, incoerente o squilibrato i l disegno

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