Pègaso - anno V - n. 6 - giugno 1933

// centenario dell'Ariosto 6 5 3 sto carattere riuscirebbe inadeguato alla v e r i t à se, con una descri– zione plastica delle compiacenze che la donna ha per Brandimarte, attirasse l'attenzione su quella parte dell'amore che deve restare nel– l ' o m b r a . C i sono a m o r i definiti dai r a p p o r t i fisici, e ci sono a m o r i i n cui i r a p p o r t i fisici passano i n seconda linea d i fronte a qualche cosa d i p i ù elevato e p i ù p u r o . A r i o s t o che ha guardate le cose at– tentamente, n o n fa confusioni : conosce le differenze e le mantiene. M a non bisogna insistere oltre i l i m i t i i n questo paragone con l ' « I n n a m o r a t o », che pure è insegnativo d i molte cose, se n o n si vuole per i l paragone perdere d i vista i l poema che si studia. Ecco che n o i , per i l semplice f a t t o d i aver guardate le cose i n antitesi, siamo v e n u t i attribuendo ai caratteri degli eroi ariosteschi u n r i – lievo p i ù forte d i quello che hanno effettivamente, ed anche u n ' i m – portanza maggiore. Basta leggere spassionatamente i l « Furioso » per t r o v a r v i evidente u n relativo disinteresse pei caratteri dei per– sonaggi, o per l o meno u n interesse l i m i t a t o . A r i o s t o n o n si per– mette d i v i o l e n t a r l i , l i rispetta come cose che sono; ma molte altre cose concorrono assieme con essi, e assieme con essi hanno d i r i t t o al suo rispetto. L a ragione del l i m i t e è i n ciò che nel « Furioso » i personaggi con t u t t e le l o r o avventure, anzi con t u t t a quella che Boiardo chiamava la bella storia e nelle poetiche del tempo si chia– mava favola, n o n son t u t t o , ma solo u n elemento t r a i m o l t i ele– m e n t i del poema. I n fondo una buona parte d i ragione i l Raina l'aveva, p e r c h é A r i o s t o non faceva i l poema per raccontare la sto– ria, ma si serviva della storia per fare i l poema. G i r a l d i C i n t i o , quando nel trattare « dei r o m a n z i », — e per l u i i l romanzo per eccellenza, quello da cui trasse argomento alla composizione del suo t r a t t a t o , era, e non poteva n o n essere i l « F u – rioso », — giunge a parlare della « favola », dice che i n questa si deve vedere « le ossa » del poema, e non, come voleva Aristotele, l ' a n i m a . L'affermazione, sebbene destituita d i valore teorico, per la poesia del rinascimento ha la sua importanza. I n f a t t i nel « Furioso » la favola è l'ossatura o, come i l C i n t i o diceva, i l « sostenimento » dell'opera, n o n l'anima, p e r c h é i l fatto narrato sostiene la creazione del poeta, ma n o n l'ha ispirata, o per l o meno n o n l'ha ispirata da solo. I l C i n t i o , affaticato, una v o l t a che i l paragone dell'opera d'arte con l'organismo umano g l i era capitato nelle m a n i , a p a r t i – colareggiato cercando che cosa nel poema corrispondesse ai nervi, alla carne, e via dicendo, si d i m e n t i c ò d i d i r c i quale per l u i fosse l ' a n i m a o l'ispirazione del « F u r i o s o » . M a n o n era uomo a cui si potesse chieder t a n t o . Senza pretendere d i sostituirci a l u i che era.

RkJQdWJsaXNoZXIy