Pègaso - anno V - n. 6 - giugno 1933
Il centenario dell'Ariosto diremmo degli imboscati, — d i tenersi i n d i e t r o per profittare d i ciò che cadesse ai combattenti. Aggiungiamo che i l mondo d i Boiardo, conservando ancora l a r g h i m a r g i n i d i a r b i t r i o , poteva accogliere i n sé degli elementi estranei; mentre i l mondo d i A r i o s t o , per la com– piutezza della sua elaborazione, basta t a n t o a se stesso che deve pre– scindere dalla r e a l t à esterna come da un'imperfezione. I n esso l'as– setto delle cose ha p o t u t o trovare i l suo ordine anche per l ' o b b l i o della v i t a o r d i n a r i a che p r i m a serviva d i paragone e d'antitesi. A r i o – sto sa bene che i l mondo che canta n o n è i l m o n d o i n cui v i v e ; ma, quando canta, n o n pensa al mondo i n cui vive. G l i ascoltatori, o l e t t o r i che siano, stanno f u o r i del poema, ed egli sta f u o r i del poema assieme coi suoi ascoltatori. A n c h ' e g l i ha inventata la sua storia, ma, a differenza d i Boiardo, quando la canta, n o n ricorda p i ù d i averla inventata. E g l i q u i n d i si guarda bene d a l l ' i n v i t a r c i ad a m – mirare la stranezza delle cose narrate, che del resto, narrate da l u i , n o n ci meravigliano. Certo con quelle lance che infilzano ancora le l o r o sette persone, con quei cavalieri che da soli tengono fronte a u n esercito sterminato, con quei castelli incantati e quegli scudi e quei c o r n i e t u t t i quegli a l t r i ingredienti miracolosi, n o n si p u ò dire che la stranezza sia d i m i n u i t a ; n o n ci meraviglia solo p e r c h é l o straor– d i n a r i o è diventato la cosa p i ù ordinaria. Siccome quella gente v i v e una v i t a e obbedisce a delle leggi che n o n sono la nostra v i t a e le nostre leggi, ciò che per n o i è o r d i n a r i o , stonerebbe come qualche cosa d'innaturale. L a d i s i n v o l t a s p o n t a n e i t à dell'esposizione nasce dalla coerenza del sogno, n o n d a l l ' i m i t a z i o n e della r e a l t à . L a mag– gior serietà del « Furioso » rispetto a l l ' « I n n a m o r a t o », che ha n o – tata e i n certo senso lamentata P i o Raina, è soprattutto dovuta a l f a t t o che i v a r i elementi, n o n p i ù trascinati e s c o n v o l t i dalla furia del poeta, sono g i u n t i a trovare i l l o r o posto. I p r i n c i p i i m o r a l i n o n son m u t a t i , ma ne vien f u o r i u n maggior decoro. I giochi d i parole osceni n o n prendono p i ù la mano all'autore, e n o n sono messi come capita i n bocca al p r i m o che parla; ma sono adoperati parcamente, rispettando i caratteri e le situazioni. G l i eroi p i ù seri n o n ne fanno; solo Rodomonte se ne permette qualcheduno, ma solo dopo che Doralice g l i ha dato la grande delusione. C i ò n o n p e r c h é le idee sia– no castigate. Le v e r g i n i come le donne sanno le cose con precisione, e n o n dissimulano la l o r o scienza. Marfisa pensa e agisce come p r i – ma e continua ad avere i l linguaggio energico, anche se ha abban– donato certi t e r m i n i d i significato t r o p p o preciso che adoperava nel- l ' « I n n a m o r a t o » ; e la stessa Angelica resta quello che era, anche se p r o p r i o essa che nella foga dell'amore n o n aveva avuto ritegno d i
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