Pègaso - anno IV - n. 12 - dicembre 1932

L'r.A.ndreana 709 la fondamenta della Capitaneria dalla terrazza dell'elegantissimo albergo, dove le americanine sedute su sedie di vimini imbottite di cuscini ascoltavano il ritmo dell'acqua che strepitava contro le travi dello sbarcatoio e si godevano l'apertura del Canalazzo con la punta d'oro della Dogana su cui anche il povero marinaio, dalla sua, terrazza, vedeva la Fortuna equilibrarsi come la sua fortuna <li bel giovane. E non si chiamava lui Fortunato? S'accorse per di più Fortunato che la sua bellezza di marinaio i~aliano aveva attirato qualche volta l'attenzione delle pellegrine esotiche che nobilitavano il fondo della calle zeppo di paroni e no– stromi, e lui .era ipassato avanti fierissimo, cordone bianco e lutto di Cavour, lasciandosi ammirare senza ammirare. 1 Ma ora, rite– nutosi libero fin dal pensiero della disgraziata tabacchina dei Tre Ponti, vide e vide bene che una di quelle straniere gli piantava gli occhi addosso come a mangiarselo il bello e perfetto marinaio ita– liano col collo nudo e il soprasolino tirato a lucido per la tosa, e rispose con un'occhiata italiana che aveva fama di languida e scin– tillava invece di gioventù e di grandigia. Biondina ardita, braccia nude arrossate dal vento, nasetto all'insù che si giudica (quello) americano, semplicità d'i vestiti e di maniere che non dà impor– tanza alla città e alla sua storia, indulgente simpatia e maliziosa per questa gran cosa affascinante ch'è, nella città di marmo, il Corpo Reale Equipaggi.. .. Un giorno fu questa stessa americanina ad accostarsi e il bel marinaio s'appoggiava indolente, scarpe e blusa fuori ordinanza, alla grande balaustrata dirimpetto ai giardinetti reali, verso il civettuolo edificio della Bucintoro, lì dove l'ozio è più ozio: e il colloquio filò a meraviglia, ché s'aprì col solito << very beatiful >> e si concluse con l'impreveduto « good bye )). Il convegno era per il giorno dopo,. alle sei precise, in uno sgabuz- . zino settecentesco del nobile Caffè Florian dove il marinaio non era mai penetrato. Dai 'Ire Ponti al Florian, ne aveva fatta già della strada. Alle sei precise egli passava inappuntabile dalla, luce verdastra delle Procuratie all'atmosfera nebbiosa d'antica c~pria d'una di quelle salette settecentesche, sostando fiero sull'attenti come quando era davanti al comandante in prima o al comandante in seconda (un presuntuoso piccione color d'i piombo pareva volesse entrare con lui); e la biondina più matta che mai, rincantucciata sola nel fondo, lo invitava con un cenno del capo e indicava il tavolinetto minuscolo, lo sgabello minuscolo, i pasticcini minuscoli e se stessa minuscoh anch'essa. Seduto in questo bel paradiso, egli ebbe l'im– pressione d'esser chiuso col donnino d'oltreoceano in una .scatola di vetro da cui trasparissero vaghe figurine allegoriche come la Poesia che tiene in mano una cetra, la Geografia che abbraccia una palla, ammiccanti altre allegorie sotto vetro sgranchitesi a BibliotecaGino Bianco

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