Pègaso - anno IV - n. 12 - dicembre 1932

760 O. .ANGELINI, 1 doni del Signore -------------- CESARE ANGELINI, I doni del Signore. - Grazzini, Pistoia, 1932. L. 7. « Lascia, o Signore, eh' io scenda fra le cose del tuo armonios~ Creato, con le mani congiunte, in atto di chi guarda e adora,». Angelim lo immaginiamo volentieri cosi, come egli stesso si presenta, nell'umiltà estatica di quei devoti che i pittori del buon tempo dipingevano in un cantuccio delle pale d'altare. Gli han fatto fama di abatino prezioso, tanto ,è ornato a volte il suo scrivere (ma vorrei che qualche suo critico l'avesse udito nel salone degli affreschi dell'almo collegio Borromeo commentare l'anno passato a Pavia in lode del cal'dinal :Federigo certe forti pagine manzoniane su quei tiranni spagnoleschi che, per dirla con Renzo, facevano proprio al rovescio dei dieci comandamenti). Prezioso può essere anche un elogio, ma con un niente cli riserva; e se in qualche momento l'aggettivo pare giustificato da una pagina sua dove risenti quella buona tradizione ,d'umanità dei seminari lombardi, che non di– sdegnava accanto al Salterio le elegie di Tibullo e alternava il greco dei Settanta a quello di Anacreonte; bisogna badare, per l'Angelini, a non confondere fregi e svolazzi di penna e candide compiacenze di letterato (così perdonabili in lui) con l'intimo senso del suo animo poetico, che è idillico e religioso. Se gli avviene di accol'dare un pensiero cli fede a uno spettacolo di natura, dà la sua nota piena e spiccata in pagine che hanno (per dirla un po' col suo modo) la levità di tuniche d'angioli. I lettori ricordano quanto ha scritto qui sopra sul Latino di messale : un capitolo giocondo che toccava il suo punto di tripudio nel commento di un magnifico In– troito, rito insieme e festa campestre: « 1Sitientes, venite ad aquais, et qui non habetis pretiurn venite et bibite cum laetitia i>. Molti cli questi capitoli vi sono nel libro nuovo che pubblica. Os– serva egli quanto mirabile sia il « mescolarsi della religione con l'opere della campagna e le sue esigenze che non fallano», e va cercando pel calendario le concordanze fra la liturgia e la vicenda delle stagioni. Vien naturale e doveroso a questo punto ricordare un altro ,scrittore cat– tolico, Tito Casini, toscano questi, che ha scritto negli ultimi anni de– gnissime pagine sullo stesso motivo della stagione e del messale. In lui è più netta e grave la nota religiosa: lo spettacolo di natura gli appare come un riflesso degli splendori liturgici; il gesto del contadino nei campi quasi un prolungamento del rito del celebrante. Angelini mette l'accento più marcato sullo spettacolo. Una data festiva, una pagina scritturale; appena uno spunto; e lo• vedi subito divagare sotto mi– racolose trasparenze di cieli e vie solitarie di campagna; l'iniziale rossa che ingemma un versetto alleluiatico nel fregio d'oro, ma il ,dito vi si è appena app1,mtato, che già, ecco, è una macchia chiassosa di papavero in un campo che comincia _aimbiondire. Questo amore di natura è cosi vivo_nello scrittore che, a volte, basta da solo, anche senza richiami religiosi, per la sua intima compiacenza di poeta. Loda egli l'allegro caminetto, o descrive l'abbacchiatura delle noci; e vedi allora apparire un altro aspetto -dell'arte sua, quello del paesista lombardo che lo avvicina tanto (e più nella comune venera– zione pel Manzoni) a Carlo Linatj. Ma chiuderlo, come qualcuno vuole, BibliotecaGino Bianco

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