Pègaso - anno IV - n. 11 - novembre 1932
Caterina Mansjield 567 tabile espressione. Avere, dunque, una «speciale)) verità da dire era per Caterina scrivere in una « speciale)) prosa. Era la ima poesia. E tutte le volte che esclamò : « voglio essere vera)), « fate, Rignore, che io possa essel'e vera)), documentano precisamente la sua ansia di rendere ancora più speciale, nella [)ropria scrittura, la propria verità; ancora più vera. Ho parlato, dianzi, di intermittenze. Ma ora occorre distin– guere. Le famose « intermittences du coe'J,l,r )) nell'opera di Marcel Proust non hanno per se stesse più valore lirico di qualsiasi fatto esterno avvenuto a un personaggio di Balzac : sono i «fatti» del personaggio proustiano. Fatti sono anche per la Mansfieldl dove la scrittrice ci descrive la strada che un pigolio di passeri o un odore le fanno percorrere nella memoria. Ma nei suoi racconti le inter– mittenze costituisco:no la stessa sostanza espressiva dei personaggi. Poiché questi personaggi non si raccontano, non si confessano. A quelli che si confessano, ed è la maggioranza della letteratura con– temporanea, capita che il ruolo interiore viene a prendere il posto di ciò che era l'intreccio nei romanzi dell'ottocento; sicché la poesia nasce per loro dagli incontri col mond'o estel'no, divenuto miste– rioso, oppure da qualcosa dii più interiore che il personaggio non può ridurre in fatto e narrare. I personaggi della Mansfield vivono invece nella realtà comune, agiscono estel'namente, hanno una evo– luzione materiale .... Sono vieux jeu direbbe Debenedetti. Ma per essere vieiix jeu rispetto alla materia narrativa essi serbano intatto da ogni figurazione contenutistica il loro interiore. E in questo tro– vano continuamente poesia. Il loro interno non è narrativo; è il loro mezzo espressivo. Scorrono lungo la realtà esterna, si muo– vono, parlano, agiscono perfettamente in essa, ma qualcosa di loro, con la voce o col gesto, s'immerge dentro, provoca una rifra– zione. Voglio d'arne un esempio. Prendo a caso, affatto a caso, un brano di Preliidio : << Saltò in piedi e quasi senza avvedersene si diresse allo specchio. Qui stava una smilza fanciulla, vestita di bianco, bianca la gonna di lana, bianca la camicetta di seta, con la vita sottile stretta da una cintura di cuoio. Il suo volto n,veva la forma di un cuore, largo agli occhi, aguzzo al mento, ma non troppo aguzzo. I suoi occhi, oh i suoi occhi erano forse la cosa più bella: erano d'un raro, strano colore, verde e azzurro con paglin?;ze d'oro. Aveva sopracciglia nere, e delicate, lunghe ciglia, così hm– ghe che quando le abbassava sulle gote vi si vedeva la luce per ri– flesso; qualcuno glielo aveva detto. La bocca ave-va larga piuttoQtO. Troppo? No, appena. Il labbro inferiore sopravanzava un po' e lei per vezzo se lo mord'eva, in un modo, aveva detto qualcun altro, in un modo delizioso. La meno soddisfacente delle sue fattezze era il . naso. Non che proprio fosse brutto. Ma certo. non paragonabile a quello di Linda: affilato, perfetto. Il suo era un po' l::i.rgo. ~la forQe BibliotecaGino Bianco
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