Pègaso - anno IV - n. 8 - agosto 1932
S. D'AMroo, Certezze 245 Non per nulla il libro s'inizia con un capitolo .sulla basilica di ~an ,Pie~ro .. Dicono molti che_ess3: <\ manc3'. di re~igiosità ». Ma, risponde 11 D Am~c~, quando par!an d1 religione gh uommi paiono aver perduto, da secoh, 11 senso genumo delle parole; e pensano a nebbia e a; fumo. ~on si pr:ga a San Pie~ro_? « La verità è che vi si_ t:ova, della preghiera, Il benefic10 supremo; v1 s1 prega, ma non smarriti; vi si prega senten– dosi appoggiati ». La immensa chiesa romana, - della quale certamente s'era scordato il Carducci nel suo sbrigativo sdegno pei templi del ·« cru– ciato Martire», c:he « il sole es-eludono», - è, nella sua tran:quillità enorme, certezza fatta pietra. Ha lo stile delle cose che non passano. In essa non tradimento, né inquietudine, né dubbio. È la fede pacata che non tanto crede (per usare il vocabolo nel senso in cui l'ha stravolto il tempo nostro) quanto ·sa. Il primo capitolo dà il tono a tutti gli altri del libro. È come la professione di fede dello scritto-re, una messa a punto, pel lettore, della sua fede. Lette quelle pagine, si comprende lo spirito delle altre; e non solo di quelle ,dedicate al S(l,'IJonarola o alla Romanità di San Benedetto, che seguono regolati e ferme come gli archi tondi di un chiaro portico ; ma per.fino le due novellette satiriche, o i ricordi dello ,Spielbe.rg, o il parallelo tra il Verne e il Salgari, che, dissonanti in apparenza, come materia, dal resto, riflettono nell'intimo· motivo il tono maggiore. D' A.nnur,;zio e noi è forse lo scritto più impegnativo del volume, già fin dal titolo, per quel pronome di gruppo o collettività messo in con– trasto col nome del poeta. Quando comparve la prima_ volta i_nuna ri– vista cattolica, so che ebbe consensi larghissimi. Non solo perché riba– diva la naturale antitesi di due posizioni tra le quali nessun legame si e.ra mai potuto stabilire, nemmeno ·quando la quadriga imperiale fece inat tese incursioni in terra benedetta; ma perché rivendicava con co– raggio e chiarezza, tutto· uno spirito nuovo, esteso oltre i conrfini confes– sionali, contro i principii di una vita e le formule di un'arte c:he avevano cercato « nella materia la salvezza dalla materia». Anche se ne resta– vano sacrifi~te un po' (o un po' troppo) l'arte e la poesia come tali. Ma arte e vita sono pel D'Amico termini complementari. « Separare l'opera d'un poeta dalla vita di lui, ond'essa nasce,_ non si può ii. È la norma che lo guida nel suo· esame del caso D'Annunzio, come di quello del caso Manzoni. Ma si badi: ond'essa nasce. Perché se anche in un artista ci fossero due uomini (e non si può dirlo del Manzoni) « l'uomo che preme a noi contemplatori dell'arte sua è quegli che, in cotesta arte, si espresse ii. Messosi su questa solida piattaforma, è facile al critico difendere il Manzoni da coloro che cercano d'inquinarne la fonte cat– tolica o facendone un giansenista, o presentandolò come un rinuncia– tario,' o accusandolo di scar,so medioevalismo, o rimproverandogli po-ca– umanità. Un poeta della « non resistenza ii l'autore dei Prome-'?si sposi ? Bisogna non capire che cosa sia p~r un cristiano la preghiera a Dio : « sia fatta la tua volontà ii. Non atto d'acquiescenza infingarda; ma« ri– chiesta, e proposito, ,di collaborazione attiva all'avvento del Regno ii; e questo, a parte gl'incomparabili valori estetici, sembra al critico, giu– stamente, « il più alto insegnamento etiço del maggior poema religioso apparso ne' tempi moderni ii. Concezioni simili di misticismo zuccheroso sono state in un recente BibliotecaGino Bianco
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