Pègaso - anno IV - n. 7 - luglio 1932

Giuseppe Cesare Abba e Mario Pratesi 11 venire qua a Siena, vai a Milano in mezzo ai tuoi vecchi compagni, e cerca distraq;ioni e conforti. Comprendo il tuo dolore e m'è S8/Cro,ma tu sei colpevole di non saperlo combattere. Io dunque per l'amore di tua madre e delle tue sorelle ti scongiuro a voler reggere alla sventura, pro– curando di abit_uarti alla sublime virtù di saper vivere senza gioie e senza speranza. Io ti sono lontano e non posso mandarti che lacrime e voti, m:;i, questi voti sono che non ti manchi la forza di vivere e di operare. Ricordati che quaggiù in quest'inferno puoi .esercitare la virtù, puoi consolar dei dolori, a,sciugar delle lacrime. Ricordati che tu hai il do– vere di vivere non per te, ma per gli altri. La vita che aborri non è tua: è di tua madre, della tua famiglia, de' tuoi amici. Fatti animo, amico mio ! Ti scongiuro ! Gli accenni agli studi coi quali fortificavano lo spirito, nutren– dosi dei grandi autori antichi e moderni, da Virgilio e Dante al Foscolo ed al Leopardi, ci spiegano come in questi giovani, privi di regolari studi superiori e in sostanza, - soprattutto il Pratesi, - autodidatti, possiamo trovare tanta vivezza di forma, tanta inten– sità di pensiero e così sicura conoscenza di ciò di cui parlavano. All'Abba, che non può accettare l'esortazione a muoversi da Cairo dove si strugge nella malinconia, il Pratesi, sempre sconso– latissimo, ma dimentico delle sue pene per confortare l'amico, può così scrivere di arte in una lettera come quella del 23 marzo 1867, che appare veramente singolare per un giovane di soli ventiquattro anni e per i tempi in cui fu pensata. È tra le pochissime non inedite perché pubblicata dalla Benso nella Rassegna Nazionale col con– senso dell'autore. -Merita però di essere riprodotta perché alla Benso venne comunicata con molte varianti.: ed è interessante vedere e come l'autore, a cinquanta anni di distanza, abbia lasciato immutata la sostanza del suo pensiero giovanile e come, levigando con sapienti ritocchi la forma, abbia anche mitigato l'assolutezza di taluni giu– dizi. Ecco dunque la -lettera~ Siena, 23 Marzo 1867. Amfoo mio, Tu mi dici che se di quando in quando non t'arrivassero mie letter~ e quelle d'altri carissimi tuoi finiresti col cadere nella dimenticanza di te medesimo. Io non credeva che le mie parole ti fossero efficaci di un effetto così. salutare, ma dacché lo dici, né io metto mai in dubbio le tue parole, non voglio esserne parco, ed ecco che rispondo tosto e lun– gamente alla carissima tua . .... Non approvo che nella disposizione d'animo in che ti trovi tu legga Byron. Le pagine infuocate del gran poeta non faranno che ina– cerbir le tue piaghe. Se fu detto di Dante che in sé accolse tutto il suo secolo, vivificando il concetto del suo poema con l'anima de' suoi tempi, lo stesso può dirsi di Byron che per me è il Dante del secolo decimonono. Questa lode fu data a Goethe, ma prevalendo nel poeta tedesco al ~more BibliotecaGino-Bianco

RkJQdWJsaXNoZXIy