Pègaso - anno IV - n. 7 - luglio 1932
Giuseppe Cesare Abba e Mario Pratesi 9 dire de! sottilissimi fili che congiungono insieme le anime e ne fanno una sola? Anche l'anima ha i suoi propri occhi che veggono più pro– fondo di quelli ·del corpo_ La sera esco fuori di Porta S. Marco ove la vista della, campagna ai estende infinita fino agli ultimi monti dell' Ap– pennino. Mi raccolgo in luogo recondito sopra un arido poggio alle cui falde stormiscono altissimi olmi che ombreggiano· un povero fiumicello. Colà veggo passare sovra il mio capo le rosee nubi portate daJ ven,to, ed associo l'anima mia alla mestizia dell'ultima ora del giorno. A notte mi ritiro in casa ove non trovo gioie, non trovo sorrisi, non trovo il dolce calore degli affetti domestici. ... .... Tu però mi rimani e credo per sempre. Ho posto il tuo ritratto in un piccolo quadro e l'ho appeso vicino al mio letto affin~hé all'immagine tua. possa riv<;>lgere l'ultimo sguardo nell'ora che sento vicina. Addio, amico dell'anima mia. Rammentati che ogni volta che mi scrivi fai una santa opera di misericordia. Addio, ti bacia l'anima del tuo amico. Finita, nel modo che è risaputo, la breve campagna, l'Abba che aveva meritato a Bezzecca la medaglia d'argento al valore ed aveva accolto morente fra le braccia il Colonnello Chiassi al quale dedi– cherà poi un'ode di cui assai si parla nel carteggio, era tornato sco– rato e cruccioso nella sua Cairo Montenotte. I due amici si scri– vevano rievocando i freschi ricordi della recente convivenza pi– sana, c-omunicand'osi le loro pene, dandosi notizia degli studii e dei lavori. Siena, 4 Novembre 1866. Cesa-re, Vedo che le tue pene non son cessate, me n'accorgo dall'ansia irre– quieta che ti divora. Ma che debbo io, dirti ? Quale !3peranza o quale illusione mi r,esta da cui possa trarre il balsamo che lenisca lo spasimo delle tue pene ? Vorrei esserti vicino per piangere, per imprecare, per pregare con te. Tu sapessi con quanto desiderio ritorno alle ore di Pisa! E vi erano dei momenti in quelle ore, dei mom_enti che in mezzo alla disperazione e alle lacrime non avrei dato per tutta la felicità della terra. Ed era quando nelle ore notturne ci raccoglievamo nella Piazza del Duomo e al cospetto dei cieli stella.ti si tendeva l'orecchio agli arcani rumori del camposanto, e l'occ hio pen etrava negli anditi oscuri del– l'Ospedale dove ha fin,e il travaglio e l'avvilimento del povero. Erano quelli momenti d'intima, potentiSSIÌma vita e l'anime nostre ,si rivelavano a vicenda con i lunghi silenzi, e se il labbro s'apriva, era per proferire sante pa.role: quelle parole che l'anima ridice a se stessa tacitamente per timore non sieno profanate dal sogghigno dei tristi e non le conta– mini il lezzo della gente crassa e nefanda. Parlavamo dei nostri sogni perduti, delle nostre povere madri : la tua anc6ra in vita e sofferente, la mia morta giovane e santa, e veduta da me, fanciullo di soli quattro anni, distesa sovra il letto che ci conduce al sepolcro. Quelli erano momenti di forti e gentili espansioni che scuotevano le anime nostre e le stacca- BibliotecaGino Bianco
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