Pègaso - anno IV - n. 7 - luglio 1932

Hotel · Astoria 91 si richiudono con colpi secchi. Severina corre da una camera al- 1' altra. La sera, a tratti, dall'ultimo piano scende un suono "di pianoforte : Chopin, Granados. Suonano nel salone del magnate polacco che qui chiamano il Re Nicomede. Non l'ho mai visto, non esce mai dalla sua stanza, ma tutti sanno che è ricchissimo e, a settant'anni, ancor diritto 1 elegante. È la baronessa Keller che suona per lui tutta la notte. La baronessa è vecchia e ritinta, è povera e ha sempre fame. È la -sola donna che sia entrata nel salone dell'ultimo· piano. Mi fermo qualche volta sul pianerottolo ad aspettare quel soffi.o di musica che viene sino a me tutte le volte che la porta s'apre ad accogliere un nuovo invitato. -Salgono rapidi con la faccia ri– volta al muro uomini giovanissimi e vecchi in abito da sera. Un'ombra sale, altissima, che tocca il soffitto. 1Mi -è a due passit è Harold. - Non può essere lui, vorrei non fosse lui, e lo guardo fisso. - Inseguivo questa danza di Granados, - ·mi dice, - vo– levo sapere chi mai può sonarla così. - E ridiscende la scala. Questo inglese cosi timido nel mentire mi fa pena. E quei suoi occhi smarriti. Vorrei grid'argli mentre scende: - Perché mentir Harold? Filipescu mi mette al corrente. Dai camerieri ha già saputo i nomi degli invitati abituali. Racconta che l'altra sera Lazaref quel guardiamarina biondo e -roseo ha danzato lassù, sulla musica scritta per lui d'a Stravinsky. Portava al collo una grossa collana di perle: un regalo del Re Nicoméde. · Penso a Harold e alle sue amanti. Forse Harold non ha mentito. Quelle grida d!i. fame che giungono dalle campagne desolate e che attraversano Pietrogrado per morire nei vicoli bui, quel tor– pore dei soldati che non sentono più né il fuoco né le pedate, quella pena che si rivolge in ogni le.tto e che cerca di dimenticare se stessa in un amplesso rabbioso o nel sonno. Quel canto -selvaggio dei reggimenti che ondeggiano e si sfasciano. Questa danza di Granados. - Che hai ? Calmati. - Gli tengo la mano sulla fronte madida. Orsini mi guarda. Anche 1ui ha gli occhi dei russi, chiari e vuoti. Ha una mano sul cuore .adunca.e contratta come non potesse reg– gerlo più. - È passato, non è nulla, un po' di stanchezza. - Le mie labbra ripetono: ,,_ Un po' di -stanchezza, non è nulla, è passato. - Gl'indovino nel viso quella pena che non mi dice. Da qualche settimana raduna nella sua camera la principessa Kurakine, tre o quattro ufficiali russi e beve. Non dovrebbe bere,. con quel vizio di cuore. · Come Harold, Orsini sente inevitabile il disastro. Se gli si vuol J3ibliotecaGino Bianco

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