Pègaso - anno IV - n. 7 - luglio 1932

90 *** Origo è alto due metri. Una piccola testa e due baffi bianchi a uncino sul colletto giallo del Genova Cavalleria. Mi invita da sua cugina Davidoff. Andiamo a piedi. Contro le porte dei palazzi gli dvornik sono cariatidi di ghiaccio. Soltanto il fumo del sonno. Forse è la prima volta che penso agli d!vornik. Come possono dormire in piedi nel gelo, insaccati in quelle pelli fetide? Che cosa hanno anc6ra di umano ? Cerco d'indovinare i loro pensieri all'accendersi dei fanali. Il loro pensare deve essere ooine un in– crinarsi del ghiaccio. Origo scuote le spalle dello dvornik di casa Davidoff : - Aprici. Mi avvicino sino a sentirne il respiro acquoso e caldo. Forse sogna che una donna gli si stringa contro, sotto la pelliccia di peoora. Le sue palpebre s'alzano macchinalmente, scoprono due occhi chiari e vuoti. È sordo, immobile. Allora Origo grida. Un cameriere scend'e ad aprire, lo d-vornik ha richiuso le palpebre. Il cameriere dice : - Erano gli ordini. La scala è quàsi al buio. Il cameriere è sparito, noi saliamo iu punta di piedi. Attraversiamo una sala dopo l'altra. Lo scricchio– lio è del pavimento di legno o delle nostre giunture ? Le gocce di cristallo d'un lampadario tinniscono. Una porta s'apre a metà e sul viso di Origo batte una luoo spettrale. Egli non ritrova le parole russe dli· saluto. Ci rifugiamo in un angolo. Nessuno ci aspettava, nessuno ci saluta. Che siamo venuti a fare? Non ci sono che donne di mezza età, due o tre anc6ra belle. In fòndo, sul divano rosso un uomo con una lunga barba, due occhi grandi, fissi. È vestito di panno bigio come un mercante, ha tre donne strette alla sua sinistra, tre alla sua destra. Ha in– nanzi un grande bicchiere di té d'a cui non ha tolto il cucchiaio : quando beve lo mantiene disoosto con l'indice. Una piccola donna .genuflessa mi prende una mano e mi sussurra : - Forse ci dirà la grande parola. Io lo guardo. Lo vedo comé lo vedrebbe uno scultore : le orbite profond'e e gli zigomi alti che la pelle maschera appena, la fronte bassa e dura, i capelli a ciooche, co;i:nemolli di sudore. Quell'uomo ha paura. Il suo pallore è tale che la barba sembra tinta o po– sticcia. E gli occhi ardono come quelli del cappuccino che vidi in un ospedale di Salonicco, che moriva di cancro e da quindici giorni non inghiott_iva un sorso d'acqua. Quelle donne sono cosi immobili, guardano cosi perdutamente il volto dell'uomo, che sembrano senza vita. Per questo, di Raspùtin m i rimane un'immagine estatica e ve– lata, come di fotografia :i ;n.al riuscita. L'Astoria è tutto uno squillar di telefoni. C'è un bisogno do– loroso di cercarsi: - ~on vi ricordate di me? - Le porte s'aprono BibliotecaGino Bianco

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