Pègaso - anno IV - n. 6 - giugno 1932
740 P. Nardi anzi alla testa dei tempi. E « suprema incarnazione del dramma» si– gnificava, ancora e sempre, uscir dal convenzionale, subor,din3:nd? l_a melodia all'espressione drammatica della parola, non a dettami d1 n– cettarii che voglion cadenze, corone, ritornelli. << Incarnazione» d~– veva essere· non musica appesa al libretto come a un attaccatabarr1. Onde anche' un problema, la cui soluzione avrebbe dovuto scaippar fuori spontanea da queste constatazioni : « Auber sentiva il bisogno di farsi perdonare la musica, epperò ?,Veva mestieri di bellissima poesia» ; « .... a Verdi s'avrebbe non di rado dovuto perdonare il libretto». Morto il Figaro, Boito fondò, con cinque amici, nel luglio del '64, il Giornale della Società del Quartetto, e vi pubblicò in sette numeri di quel semestre il saggio su Mendelssohn i:n Italia, cui il De Rensis ha dato il primo posto, come allo scritto più cospicuo. Il saggio finh,-ce così: « Abbiamo scritto queste pagine su Mendelssohn per aizzare i nostri giovani coetanei. ... Abbiamo segnato a dito la nobile figura d'un grande tedesco, e l'abbiamo citata ad esempio .... ». La, verità è, che Boito p,roponeva a se stesso, un modello, cui ,doveva sentire di. somi– gliare in potenza. Anzi chi sa ch'egli non aidattasse, istintivantente, il ritratto di Mendelssohn a ritratto ideale di ,sé, e quindi un tantino lo deformasse. Mendelssohn visto da Boito, è un musici.sta dominato dal genio descrittivo e pittorico e dalla contemplazione religiosa: al genio descrittivo e pittorico obbedisicono il Sommernachtstraum, le sinfonie scozzese, italiana,, quella intitolata Meeresstille und gUickUche Fahrt, e gran numero di Lieders; alla contemplazione religiosa i due salmi •di Lutero scritti a Venezia, il corale a tre ,parti e l'Ave Maria a otto ,scritta a Vienna, il Non nobis Dorwine e l'Inno alla Vergine scritto a Roma, e, massima testimonianza, lo studio intorno alla, liturgia ro– mana indirizzato a Zelter. Ma poi c'è quel castello in aria, quel sogno di tutta la vita di Mendels,sohn, quel melodramma ideale (la Tem– pesta di Shakespeare), ch'egli si portava in cuore, e che gli faceva scrivere a un amico : « ,Se conosci qualcuno capace ,di fal"lllene un li– bretto, dimmelo, per l'amore di Dio; io non cerco altro». E Boito commenta: « Nel 1831, prima che in Francia l'alto intelletto dello S.cribe, invaso dall'idea di Meyerbeer, avesse creato il Profeta e gli Ugo– notti, Mendelssohn in Germania, conscio della sovrana missione del- 1' arte, presago de' suoi destini, pieno di canti e di carmi, cercava un poeta! un poeta! un poeta! ». Ed era come implorasse, continua Boito, quel nuovo sviluppo della forma tragica, che Wagner intuì, capi, ma poi malamente teòrizzò, e rovinosamente applicò. Ebbene io sento, - in questo Boito anch'egli teorizzante alia vigilia di tentare, forte di genio pittorico e descrittivo e tutto contemplazione religiosa, ciò eh' egli chiama la « vestaurazione della tragedia greca e del mistero medio– evico », - la ,fiducia di poter essere lui il musicista ritrovante, poetando a un tempo e musicando il Mefistofele, in sé il suo poeta, meglio che lo stesso Wagner non avesse saputo. Qui gioverebbe aprire una parentesi: sul presunto (fino a ieri, se non proprio fino a oggi) wagnerismo di Boito. Meglio rimandare alle pa– gine introduttive del De Rensis, il quale ne parla, stupendamente, cer– cando, da tecnico, la comprova nella musica boitiana. BibliotecaGino Bianco
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