Pègaso - anno IV - n. 5 - maggio 1932
La tabacchiera smarrita 587 Disse bipede; adesso, seduto davanti ai dolci fragranti, alle rose profumate, con gli occhi addosso dei servi in attesa, ripensò alla soddisfazione piena dl'allusioni con la quale aveva pronunziata quella parola. Ripensò anche ai mormorii d'assenso intorno, e al– l'inaspettato silenzio del chiacchierone. ,Si era allora dedicato inte– ramente alla partita. Vinceva. Una mossa falsa dell'avversario, vi– cini alle ultime battute, glielo dava fra le mani senza speranza di salvezza, sol che fosse stato attento a non intralciare lo svolgersi naturale del giuoco. E doveva esi;;ere stata quella, sua estrema at– tenzione a fargli dimenticare che la tabacchiera non era ritornata a lui. Non era ritornata nelle sue tasche perché il chiacchierone straniero si era d'ato cura di nasconderla. Egli si spiegava adesso il tacere dli costui, dopo la sua rimbeccata, che non fu prodotto, come· gli avvenne di credere allora, per mortificazione o rispetto. Si spiegava anche certe occhiate di lui alla padrona di casa e agli altri presenti che gli avveniva di cogliere quando, mosso il pezzo, levava lo sguardo dalla scacchiera mentre la mente vi rimaneva tuttora, esclud'eva le immagini che restavano puramente visive, certe occhiate ironiche, ade·sso capiva, e un ammiccare a cui non dava peso credendolo originato da, scherzi o discorsi che non lo riguard!assero. Vedeva anche, come se lo avesse tuttora davanti, il giovane chiacchierone in piedli dondolare quel suo lungo corpo e - baloccarsi col cofanetto. Teneva il cofanetto fra le. mani, lo alzava or da un lato or d~ll'altro come quando si vuol far risuonare qual– cosa posta al di dentro : si udiva infatti un « tun· tun )), un rumore dluro e sordo insieme come se un oggetto andasse su e giù seguendo il moto alterno delle mani, urtando or contro l'una or contro l'al– tra paret~ di legno. Birbante, era la tabacchiera dentro il cofa– netto a servire dli giuoco, era lui stesso a cui andavano le occhiate e gli ammicchi. - Birbanti, - ripeté a alta voce. Oecco e il cuoco si scambiarono uno sguardo incerti sulla destinazione di quell'epi– teto. Quel « tun tun » accusatore, che diventava per lui di una evi– denza indiscutibile, la sera innanzi era stato uno dei tanti suoni, rumore di voci, di seggiole spostate, e risate sopratutto, nonché per qualche tempo il martellare della spinetta, che lo avevano accompagnato nell'ardua partita dii scacchi, adesso discernibili nel ricordo, ma allora confusi, fluttuanti come vapori intorno alla propria fatica. Quel giovane petulante aveva voluto dimostrargli come fosse possibile· venir truffati o sm.arrire in un istante di dli– strazione, un oggetto che si era abitu~ti a portare d'a trent'anni nelle tasche. Certamente aveva pensato di restituirglielo all' indo– mani, ritrovandosi dalla vecchia Areati a colazione, dove erano entrambi invitati. Il cavaliere Bettigalli ricordava nitidamenté come, a un dato momento, il giovane straniero si fosse avviato al caminetto e sul ripiano su cui stava di consueto, avesse posato il BibliotecaGino Bianco
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