Pègaso - anno IV - n. 5 - maggio 1932
La tabacchiera sma,rrita 573 co », rimbombava, che fu come un gran sbracciarsi per una fatica da nulla. Aprì e mise dentro la testa. · - Ah, eri lì, - udì il cavaliere Bettigalli esclamare prima an– cor dii vederlo, poi ciò che vide lo rassicurò. Entrò· del tutto, ,si chiuse l'uscio alle spalle e aspettò sulla soglia. Bettigalli stava seduto nella poltrona e ne stringeva con le mani i braccioli. L'arrabbiarsi che aveva fatto, lui se lo spiegava come una necessità, un modio di togliersi da una situazione imba– razzante che quasi sempre riusciva a un esito felice, di restare fedel.e al proprio carattere. Il carattere·, questa scorza dell'anima, era ciò a cui il cavaliere Bettigalli prestava le cure •più assidue. Egli era persuaso che i rapporti col proprio simile sarebbero stati tanto più semplici, cioè facili o per .meglio dire esatti, quanto più fossero noti ad ambedue le parti i caratteri, cioè quell'insieme di suscettibilità, di vanità, dii mollezze, d'orgoglio, e di quegli altri pochissimi difetti principali che non sono ancora vizi, ma tuttavia sufficienti a provocare risentimenti, offese e peggio. Dei vizi non si occupava, e non per un esagerato ottimismo, ma perché li riteneva intimi, segreti, dia non portarsi alla superficie nei rapporti mon– dani, né tanto meno da farsene vanto. Quest'ultimo segno di va– nità, e il più spinto, tale da rasentare l'orgoglio, di cui purtroppo molti si davano e ottenevano lode, egli era anzi uso considerarlo come un indice infallibile di cattivo gusto, e evitava con cura non solo la compagnia, ma fin la presenza di chi se ne fosse reso col– pevole. E neppure si occupava delle virtù, per le quali portava le stesse ragioni che per i vizi: che fossero intime, segrete, e· che quando s'affacciavano alla superficie,· non solo diiventassero segno di cattivo gusto, ma cessassero d'essere virtù. Riguardo poi alla determinazione di un carattere, quest'ultime interessavano poco, e soltanto per stabilire fin dove giungevà la sopportazione dell'in– dividuo. I caratteri eh' egli era venuto via via conoscend'o in do-· dici lustri di vita gli piaceva dividerli in tre classi, cioè qualità: quelli a cui tutto si può dire senza che prendano ombra, quelli che mostrano asperità soltanto per determinati argomenti, uno o più di uno, e per ultimo quelli che sono tutti riç,operti d'asperità come il porcospino dai pungiglioni. Diceva : « quelli a cui tutto si può dire», e non : « quelli a cui tutto si può fare>), perché éra persuaso che d'ove ,si uscisse dal campo delle parole per entrare in quello dei fatti, le cfa,ssi si sarebb(:}roridotte a una sola: l'ultima. '.A cui egli riconosceva di appartenere, ed! anzi si studiava di appar– tenere con gloria, benché non facesse distinzione di meriti fra una classe e l'altra, ma soltanto di metodo. Era del resto assai facile rendersi conto di qual metodio uno qualunque dovesse considerarsi ·seguace: bastava seguirne per un poco i discorsi, ammesso che parlasse, e se non parlava apparteneva certamente alla prima BibliotecaGino Bianco
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