Pègaso - anno IV - n. 4 - aprile 1932

A. MONTI, Il conte Luigi Torelli 499 nomare comunque i suoi merìti, ché nessun uomo politico ha fatto il me– stiere di profeta. . Il Torelli nel 1846 è un federalista, nel quale, come in tutti i fautori della federruzione, il problema di Roma non è oonditio sine qua n,on del– l'unificazione d'Italia. I tre Stati confederati non hanno affatto bisogno di una Roma capitale. Ma, d'altra parte, bisogna che il Papa non vi resti come principe temporale, ,sia perché il suo governo non è consen– taneo ai tempi, sia perché, dovendo egli necessariamente appoggiarsi ad una potenza straniera, l'indipendenza ,della penisola dall'Austria ne sarebbe_compromessa. Ed ecco aUora l'idea della città libera e del pon– tefice sovrano ma non governante. Il pensiero del Torelli va accostato a quello degli altri scrittori della medesima corrente politica e con questo accostamento si può veramente cogliere la ,sua originalità, la quale sta soprattutto nell'aver prevista la possibilità di un pontefice libero nella sua azione spirituale entro le mura vaticane, mentre tutti più o meno sentivano la Questione romana come un nodo insolubile, non riuscendo ad immaginare come potessero coesistere due poteri nella medesima città. ;Nel 1870, quando il Tor,elli ristampò i Pensieri, non si prevedeva nep– pure come l'Italia avrebbe regolato i suoi rapporti col Papato. Quindi il suo compiacimento per il trionfo della tesi sostenuta durante un quarto di ,s,ecolonon a;d a,Itro poteva riferir,si che alla caduta del potere temporale. La soluzione conciliativa era anche tanto lontana dalla sua mente da ,sentire il bisogno di sollecitare il governo italiano a trovare una via d'uscita •senza confidare nel beneficio del tempo, che avrebbe potuto riservare sorprese ingrate. Prendere l'iniziativa, intendendosi eventualmente anche eon i governi esteri, e concedere per libera volontà più di quello che si potesse chiedere e desiderare. -O'è da notare infine che il Torelli ha una visione un po' estrinseca del difficile problema che egli, fermo al disegno balenatogli alla mente nel 1846, continua a considerare come circoscritto alla sola sistemazione del Pontefice rispetto al nuovo stato di cose, mentr!:l coinvolge anche il regolamentq dei rapporti tra lo Stato e la Chiesa. Su questo argomento complesso debbono averlo illuminato le lettere del Ricasoli, che il Monti opportunamente pubblica; ma che cosa il Torelli ne pensasse ignoriamo, màncandoci le risposte inviate allo ,stat1sta toscano. Parrebbe da certe frasi del Ri.casoli che il Torelli fosse del medesimo sentimento. E allora il pensiero dello scrittore lombardo viene ad a,ssu– mere tutto. un aspetto nuovo; ché la distruzione del potere temporale per il Ricasoli ha un fine altissimo sovrastante a quello meramente po– litico di dare all'Italia la sua capitale: il fine di rigenerare spiritual– mente .la Chiesa, rompendo ogni legame che la vincola allo Stato. « In pari tempo che sarà provveduto al pontefice, - scrive il Rica.soli in una lettera del 9 novembre 1870, - si stabilirà, spero, del pari la piena ed assoluta libertà della Chiesa mercé la sua separazione dallo ,Stato». Se– parazione che peraltro implica non inimicizia e conflitto tra le due au– torità, ma piuttosto intesa sul principio di una reciproca indipendenza o, per dirla più semplicemente, secondo la formula << Libera Chiesa in li– bero ,Stato » applicata rigidamente e senza possibilità di intrusioni o violazioni nei campi rispettivi. ibliotecaGino Bianco

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