Pègaso - anno IV - n. 3 - marzo 1932
Tre cardinali e un papa 285 un po' più su San Stefano Rotondo, con quella .fila di martiri arsi, strozzati, lacerati, davanti a quell'anello di colonne snelle e sotto quel cielo di mosaico melodioso. E quel giorno, tra le casupole se– midirute, dopo i due cortili umidli che i festoni d'alloro e di mor– tella s'industriano a scaldare, scopriamo quella chiesetta squal– lida, coi muri bianchi, il tetto nero e quel coro e quell'abside .fioriti di affreschi così belli. Lo stesso senso di quando un giorno d'agosto, mezzo abbrutiti dai nostri ozi campestri a Monteverde, piovemmo una mattina a ,Santa Maria in Trestevere per un pontificale, e ci trovammo davanti la prima volta il palazzo sontuoso dei cano– nici, la facciata musiva, l'abside tutt'oro e colori iridescenti: è come scoprirsi ricchi, all'improvviso. In mezzo a quella gioia arriva il cardinale: piccino anche lui, piuttosto _pingue e con gli occhietti lustri; ma un'aria così festosa, una voce così chia,ra: non è l'accento della mia Marca romagnola? Egli canta contento, e noi contenti rispondiamo: è un altro car– dinale che esce dalle nostre file e ci vuol bene ; ha mandato subito tra noi un suo nipote, Giulio, un ragazzotto roseo e biondo, che viene dritto dritto dal collegio più: elegante dì Bologna, e porta ancora il ciuffo sulla fronte, e la sottana non ha imparato ancora a portarla: corre troppo. Somiglia a me: che quando da ginocchi m'alzo in piedi di schianto, .sento sempre il era era della balza che si scuce : fortuna che so ricucirmela da me ! . Con Giulio quel giorno quante risate! Vicino alla chiesa c'è il convento, con un chiostrino a colonne binate che è un amore, e nel convento ci sono quattro o cinque monachine, tutte bianche, che per l'occasione solenne hanno aperto le porte a tutti. Dietro la por– pora del cardinale, per quei corridoioni silenziosi, si sperde il ru– scello della nostra gioventù : le monachine son ritte agli angoli, che baciano la mano al cardinale e a noi fan grandi riverenze, e noi via frullando come rondinotti : dli chi la colpa, se davanti a quelle ombre noi ci sentiamo vivi ? _ Ma quando lo rividi il cardinale, diventato Vicario, cercai in– vano nel suo viso l'aria festosa che gli avevo visto quel giorno: era silenzioso, preoccupato. A Giulio lo dissi : - Ohe ha Sua Eminenza? non par più lui. Sospirò : - Eh, caro mio, troppo da fare! - ed anche Giulio non correva come prima . . Poi di Respighi nessuno parlò più: la bussola verde, a un passo dalla nostra, tornò per noi più misteriosa e chiusa di quando ci abitava il cardinale ignoto. Una sera ritrovammo Sua Eminenza a una funzione solenne, non so in che chiesa. Ci guardava silenzioso e triste, come quei car– dinali vecchissimi, che tante volte avevo sentito n~minare e ritro– vavo in mezzo a una sagrestia monumentale, seduti sulla poltrona ipliotecaGino Bianco
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