Pègaso - anno IV - n. 1 - gennaio 1932

Venezia invernale n'è andato dal fondo), _parliamo tutti assieme, con botte e risposte da un tavolo all'altro, dall'una all'altra stanza. - Beati chi se pol védar .... - Dotor benedeto .... - Me ricordo che el pòvaro Molmenti dixeva ... . Molte cose ,<;;Ì ricordano qui, come recenti e freschissime, che uno di fuori crederebbe sepolte da secoli : i duelli di Macola, le visite dell'Imperatore, i motti del Patriarca Sarto; molti nomi del– l'altrieri sono sempre vivi e vegeti: Selvatico e Favretto, Gigi Su– gana e Paulo Fambri. ... Questa città mondiale ha un'antica e incrollabile sottostrut– tura provinciale, un suo saldissimo egoismo, armato di diffidenza e d'ironia, che la preserva da ogni pericolo d'imbastardimento; come testimonia tutta la. sua letteratura, dal Zustinian al Gallina, e fermiamoci lì. Anche quando dominava imperialmente tanto riiàre, e resisteva a mezza Europa, era una città di modeste propor– zioni, una specie di casa grande, con molte camere, moltissimi cor– ridoi, e una stupenda sala di ricevimento ; e tutti si conoscevano e si davano il bondì, incontrandosi in calle o in piazza, patrizi e plebei. E chi non era Veneziano, era turco, o grego. Ora le resta l'orgoglio del passato e la coscienza della sua sin– golarità immutabile. Il ponte che la congiunge alla terra~erma è pur sempre un'avventurosa passerella, qualcosa di posticcio e di provvi– sorio. -Qui ci siamo noi, e di là ci sono gli altri.. .. Questo senti– mento fondamentale affiora in tutte le chiacchiere di caffè, chi sap– pia ascoltarle; ma bisogna che fuori ci sia l'inverno, perché la vecchia anima veneziana, risentitasi nel chiuso tepore del Florian ·o del Giacomuzzi, riacquisti la parola. • Nella buona stagione la città è preda degli ospiti ; e i bei caffè bisogna abbandonarli alle orchestrine che strillano e stridono, come famiglie di rabbiose cicale, tra le vecchie e le nuove Procuratie. Soio alla fine di novembre, quando visitatori non ce n'è più, e non s'ode altro suono che quello dolcissimo e potente delle campane di San Marco, grande voce umana, voce di tutt::i, una gente, solo allora riscappa fuori lui, Goldoni, e riprende pacificamente possesso della sua piazza e della sua cara Venezia. - Me contava 'na volta el pòvaro Fradeleto .... L'inverno che incombeva accidioso sul muto squallore della città rompe finalmente in tempesta, con tonfi e schianti e urli e lamenti lunghi. È la bora triestina, che rimbalza e s'abbatte su la nostra costa, portando con sé tutti i diavoli dei monti Schiavi e del mare. I piovaschi scorrono sopra i canali e le fondamente, ritti come teloni di teatro ; refoli furibondi infilano le calli, fischiando e sbatacchiando le imposte contro i muri, una dopo l'altra, a preci-

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