Pègaso - anno IV - n. 1 - gennaio 1932
Ulrico di Wilamowitz-Moellendorff 27 stesso, almeno più tardi, ha formulato chiaramente il problema, come lo spirito greco abbia creato le forme che a noi ora paiono eterne e inva,riabili, com'esso abbia scoperto la scienza, e ha mo– strato, l'abbiamo già veduto, come questo problema s'indaghi, pro– seguendo la storia di certe parole e di certi concetti. Non negherò certo io che il lievito della sua opera giovanile sia romantico; ma mi par certo che l'opera totale rappresenti, nella filologia, il superamento del romanticismo. Quest'attitudine anti– romantica si rispecchia particolarmente nel trattamento del mito eroico. Non più il popolo greco .crea le sue leggende; ma individui perfettamente determinati, se pure destinati a rimanere per noi anonimi, poeti, inventano e rifanno la saga. Da questa non si può distillare storia senz'altro, perché essa non simboleggia la storia. Ma la mitologia è storia letteraria e dev'essere trattata come tale. Importa vedere quale interesse spinse il poeta a creare una figura, o ad attribuirle un'impresa nuova, o a localizzare le vecchie altri– menti, o almeno quali condizioni storiche una determinata leg– genda, in una determinata forma, presupponga. O anche la dif– fusione della leggenda che celebra uno dei popoli ellenici, ci dice, indagata intelligentemente, fin dove giungesse la potenza e il prestigio di quel popolo. Questa concezione della mitologia, che parte da Carlo Ottofredo Miiller, ma trascende la posizione origi– naria di questo e raffina i suoi metodi, non pare intesa appieno da storici anche di grande valore. In un campo alquanto più tecnico ha avuto molta importanza e avrà in futuro grandi svolgimenti, anche svolgimenti ora non pre– vedibili, la sua scoperta di una disciplina nuova preliminare e metodica, la storia dei testi. Memorie e volumi suoi s'intitolano Storia del testo ~ei tragici, dei lirici, dei bucolici. Uno dei mag– giori dotti precedenti, il Lachmann, aveva insegnato a ricostruire con procedimento pipttosto meccanico dalle copie medievali l'ar– chetipo, l'esemplare unico già macchiato di errori e da questi con– trassegnato, dal quale tutte queste copie medievali derivano per trascrizione, ch'egli immaginava meccanica. Il Wilamowitz ha mo– strato, confrontando sia papiri, sia citazioni in scrittori più recenti ma sempre antichi, che le varianti dei codici medievali risalgono spesso per buona parte all'antichità; che l'archetipo è per lo più copia di un esemplare ancora antico, nel quale erano segnate va– rianti; che queste sono di solito anteriori all'archetipo. E ci ha insegnato a seguire a ritroso la storia del testo dall'archetipo sino alle mani dell'autore, attraverso cure di grammatici e moder– nizzazioni per lo più inconscie di amanuensi prezzolati; ha fatto vedere come la storia di un testo e il grado di credibilità che esso merita, dipendono dalle vicende che ebbe nell' antichità. Così egli ha scritto la storia del libro antico, diverso dal medioevale e "bliotecaGino Bianco
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