Pègaso - anno IV - n. 1 - gennaio 1932
Ulrico di Wilamowitz-Moellend0t:ff 17 "Suaattività, poiché egli non si è .lasciato mai ingannare aa super– ficiali dottrine sull' «irrazionalità>> inerente necessariamente a ogni poesia, come gente che crede in buona fede che la « questione ome– rica>> si fondi sur una dozzina di contraddizioni andate a cercare _ ·con il lumicino, e non ha poi occhi per le condizioni storiche, cultu– rali, linguistiche, diverse da canto a canto dell'Iliade e dell'Odissea. Su Omero egli ha lasciato tre volumi, le Indagini omeriche del 1884, 1' Iliade e Omero del 1916 e il R-itorno d·i Ulisse del 1927. Ma in , ,questi libri non si incontreranno mai concetti e termini derivati dalla geologia, come «strati>>. Il Wilamowitz sa benissimo ehe il nostro Omero non può essere un prodotto del caso, ch'è cieco e non intelligente ; egli sa benissimo che le singole parti e che il tutto sono ·state composte da poeti, buoni o cattivi, i quali, poiché non aYevano idea di proprietà letteraria, attingevano a canti precedenti, li mu– tavano, li fondevano. La sua analisi omerica mira anch'essa H distinguere e determinare personalità: la personalità di aedi dei quali uno si chiamò Omero, ch'è nome di 1111 uomo di carne e -ossa, e non di un simbolo. Altrettanto caratteristico è nell'opera del Wilamowitz il nu– mero e il modo dei suoi commenti. Fino a lui commenti in Germani.a ·erano stati scritti quasi soltanto per la scuola, e veramente sco– lastici, cioè di quel genere che spiega unicamente quello che di -spiegazione non ha bisogno. I filologi maggiori avevano sino a lui pubblicato testi, emendato passi guasti, tutt'al più interpretato luoghi difficili quasi sempre con l'intenzione di mostrare che essi -erano sani ; avevano quindi messo l'interpretazione a servigio della -critica dei testi, mentre dev'essere tutto il contrario. Diversamente in Inghilterra; ma l'Inghilterra dal principio del secolo XIX in poi si deve dire q~anto a studi filologici un paese, se pur sempre rispettabile, alquanto arretrato. Il primo commento del Wila– mowitz, quello all'Eracle di Euripide, uscito in prima edizione nel 1889, è il migliore di tutti. Io lo direi addirittura il suo capo– lavoro, riferendomi non tanto alle pagine sul mito di Eracle, belle ma, almeno in parte, caduche (il Wilamowitz stesso dovette più tardi riconoscere che Eracle, nonché il rappresentante dell'ideale dorico, non è originariamente un Dorico ma un Beoto), e non tanto al volume d'introduzione sulla tragedia attica, quanto al commento propriamente detto. Da nessun altro libro io ho appreso tanto di greco e sullo spirito greco ; e sarò grato per tutta la vita al maestro romano che me lo mise in mano, quand'ero anc6ra studente, credo di prim'anno, e grato me ne mostro consigliandolo a mia volta agli scolari che mi chiedono come imparare a leggere poesia attica. A questo commento si addice particolarmente quella stessa pa– rola che nell'ambito della scienza dell'antichità meglio contrasse– gna tutta l'opera del Wilamowitz: totalità. A spiegare Euripide 2. - Pègoso. ~iblioteca Gino Bianco
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