Pègaso - anno IV - n. 1 - gennaio 1932
116 }i], DE MICHELIS, Bugie - sua, una messe discreta (dico discreta per la copia) di sonetti pessi– misti, rimasti, ch'io sappia, in maggioranza inediti. Intanto però, quel semiclassico Prometeo accennava, nella imaginazione del suo au– tore, a mutar, pelle: ma ci volle la malattia per suggerire una soluzione più naturale e moderna del suicidio alquanto romantico con cui il futuro prossimo Ad'amo avrebbe dovuto finire. In otto mesi di creazione felice Adamo fu scritto. Veramente non si chiamava Adamo ma Salire, come Aver vent'arvni si chiamava Andando. Anche questo studio dei titoli mi par notevole: ha portato alla felicità di quello recentissimo, adesivo a,l contenuto dell'opera come nessun altro di De Michelis, e in cui è come risolto in un termine medio di finissimo gusto quel dubbiare fra umiltà di signHicazione e luccichio da vetrina, ond'eran nati gli altri due. Stac– cata la penna da Adamo, il suo autore sentiva la novale della propria fantasia dar nuovi germogli. E prima della pubblicazione del roma_nzo, tutte, meno una, le.novelle adesso pubblicate erano composte. Ciò può spiegare anche storicamente certe affinità e il progresso nella direttiva del primo impulso. Io volevo a ogni modo arrivare all'unica novella, re– centissima, Sirio, la quale apre la raccolta, ed è anche la più lunga e complicata, come se con essa il narratore miras,se a rifarsi la mano al romanzo. Trattasi in realtà di due novelle in una, le quali aspirano a chiarirsi a vicenda. Ma dal loro modo di vivere_ in reciprocanza di rapporti, dal loro parallelismo malgrado i migliori intenti d'articola– zione e ·di fusione, si sente che l'autore riusciva. meglio a creare, che a creare a un tempo e _congegnare. Ebbene, dovessi ritrovarmi a spasl;!O, come allora, con De Michelis, credo gli direi : - Adl'\SSO è forse que– stione di far dell'autobiografia solo come fe(]eltà al proprio punto di vista (che è poi fedeltà a una visione ben nostra), e di tornare al ro– manzo non per iuxtaposizione di frammenti, ·ma proponendosi a oggetto una parte di mondo più vasta che in ognuna di queste novelle non sia. PIERONARDI. JEANFAYARD, Mal d'amour. - Fayard et O.le, Paris, 1931. Fr-. 15. Si può dire, cominclando, che questo romanzetto di Fayard, prix Goncourt, se non ,m' ha detto nulla di nuovo, non m' ha n('\anche an– noiato ? Ora è di moda dir male dei premi, al punto che non si sa più se U1!l libro ci guadagni o ci perda a, esser p,remiato. Per questo qui, _a guardare un po' al modo come è stato accolto dai solertissimi cronisti lett('\rarii, sembra ~he il guadagno debba ridursii. quasi del tutto al be– neficio delle centomila copie e passa, che di solito accompagna i libri premiati dall'accademia Goncourt. Ho letto subito dopo il premio qualche feuilleton, e tutti quei cronisti quand~ non han fatto gli abbot: tonati mi son parsi molto io. vena di dar con~gli ; e chi ha esortato il giovine Fayard a darsi al teatro perché ha un dialogo vivo e parigino, e chi ha trovato _cheil suo tono più che a quello ài Jean d~ Tinant so– miglia a quello di Duvernois. Uno ba avvertito il premiato a non crearsi dei compiti troppo gravi ora che ha preso un premio come questo quasi a far intendere che le spaJle del fortunato giovanotto non sono' molto robuste. Piacevoh inconvenienti dei premi. BibliotecaGino Bianco
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