Pègaso - anno IV - n. 1 - gennaio 1932
E. DE Mrcm~Lis, Bugie 115 intera, la mamma sentì dentro ·di sé, dove i pensieri non hanno il corag– _gio delle parole, che anch'ella, rimproverava alla nonna, di a,vere di– -sturbato tutti senza essere morta ii. Come ogni opera d'arte sincera, questo libro ha una sua intuizione germinale da cui tutto rampolla. De Michelis la coltiva, - uscito dalle inquietu.dini della giovinezza e superata la crisi della malattia, - con .anima ferma. Coloro che hanno trovato nelle insofferenze di Adamo per la vita di ufficio la punta polemica troppo scoperta, mettano sotto la loro lente L'Apostolo: è la sola, di queste dieci novelle, in cui qualche 1uccicor d'ironia non si confonda a"tibastanza nella luce dell'umana, com– prensione. Ma sono attimi, e non a sfogo d'interiorità irritata come in Adamo, ma proprio malgrado la migliore volontà d'autodominio da parte dell'artista. Al De Michelis commosso di Adamo è subentrato un De Michelis evocatore, - con calma quasi scientifica, - di visioni• com– moventi. E c'è davvero una curiosità da scienziato .nel suo girarsi e ri– girarsi sotto la penna i casi particola-ri cosi da obbligarli a mostrare tutte le facce, moltiplicando, da novella a novella, e talora nella mede– simar novella, gli accidenti, quasi a provare la verità universale ed eterna deU'intuizione su cui tutto il libro si regge. E nel sottilizzare, insinuan– dosi, da inquisitore, pei labirinti delle anime chiamate al cospetto di quella idea centro, com'è sempre sobriamente preciso, nitidamente spie– tato, e come sa tuttavia riverberarti dentro allo spirito aloni di vibra– ·zioni commosse, sprigionate dalla natura stessa delle sue analisi ! Quest'arte ha una coerenza di sviluppo che la fa già suscettibile di storia. In Aver vent'anni De Michelis si esprimeva liricamente, e l'ima– gine uscita da quel volume d'esordiente era quella ormai divulgata da due versi citatissimi: Aver vent'anni è come dire al mondo: Sono venuto e questo è il mio giardino. Poi quel campicello di poesia originale si copri di stoppia. De Michelis :,;i volgeva a esercitazioni letterarie traducendo le Egloghe di Virgilio (pub– blicate da Jacchia solo dopo Adamo) e scrivendo, vedete un poco, un Prometeo in endecasillabi sciolti. Ricordo un pomeriggio d'inverno che camminavamo insieme pel parco ancora in abbozzo dell'isola di San– t'Elena, a Venezia. Mi parlava della sua avversione per gli studi ùi diritto, del suo proposito di prendere, dopo la laurea in legge, quella di lettere. Questa faccenda della laurea in lettere non m'andava giù. Chi sa perché? Forse per via delle Egloghe e del Prometeo, sebbene le prime mi paressero fin d'allora felicissime come traduzione d'un antico modernamente intesa, e il secondo lasciasse dalla scorza del titano scap– par fuori appunto De Michelis. Uscii a dire: - Perché non scrive piuttosto un romanzo? Un romanzo autobio– grafico, naturalmente. Per un lirico come lei, che si analizza anche quando canta e mostra di conoscere davvero soltanto se stesso ... : que- ' . stione di voltarsi indietro, di cercarsi nei propri ricordi, di narrarsi. Venne la malattia. Durante questa, mi mandò alcune liriche. Era tornato al suo campicello di poesia originale: l'aveva concimato di molto Petrarca e di molto Leopardi, e ne aveva cavato, da una semente
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