Pègaso - anno IV - n. 1 - gennaio 1932
104 V. MONTI, Epistolario condurre a termin~ la F'eroniade, sia che scriva il bellissimo idillio Le nozze di Caàmo e di Ermione. Il 9 aprile 1826 il -poeta, verso le undici, fu colpito da emiplegia; ma, a poco a poco nei giorni seguenti si riprese. Una serenità malinconica cl;l.e-talvolta sfavilla di arguzie e di epigrammi infonde una insolita te- ~ nerezza allo stile delle ultime lettere, nel presentimento della morte vi-·– cina. Così nella lettera dell'ottobr~ al Roverella: Dovrò io adunque scendere nel sepolcro senza dare al mio Roverella l'ultimo addio ? Non so quanti giorni anc6ra mi sarà dato di strascinare questa vita, ma so che al mio male non è rimedio. 'l'utta la manca parte del mio corpo, braccio e gamba, è perdu,ta .... In quanto alle facoltà morali, l'apoplessia non mi ha lasciato altro di vivo che il cuore e il sentimento della mia disgrazia, in mezzo alla quale ho nondimeno gustato qualche dolcezza, potendo assicurarti, mio caro, che non vi è ordine di persone che non siasi affrettato di consolarmi, non solamente in tutta Milano, ma in tutta l'Italia, per lettere piene di compassione e d'amore .... Nella montana solitudine, a cui mi son condotto colla speranza che l'aria elastica di questo paradiso della Lombardia potesse invigorirmi la vita, ho ricevuto da' miei amici, e specialmente dal mio Bellotti, molte consolazioni, e dagli amici non solo, ma ben anche da stranieri e da belle donne, onde talvolta m'è paruto di essere il Prometeo di Eschilo conficcato alla rupe e visitato dalle Nereidi. In questa bizzarra idea potrai vedere che lo spirito poetico non è in me anc6ra morto del tutto. Ed infatti cosi malandato qual sono, qualche buon verso m'è caduto dalla penna, e alcuni altri ne vo meditando nel punto che scrivo a te la presente, consacrati alla mia donna, la quale non mi ha abbandonato un momento dacché' sono caduto in tanta calamità; e se sono ancor v.ivo, il debbo principalmente alle sue tenere cure. La mano ricusa di scrivere più oltre, onde fo fine, e ti prego quando _sarò sotterra ò,'i ricordarti qualche volta del grande amore che sempre ti ha portato il tuo povero V. M. Gran potere, s'è visto_, aveva il Monti sui cuori femminili: e già à,l tP.mpo della traduzione dell'Iliade, Cesare Arici gli scriveva: 'lo desidero sempre più di abbracciarvi, e finiti che abbia ·gli esami nel Liceo, corro a Milano anche a piedi, per rallegrarmi con voi della somma gloria che vi andate acquistando coll'Omero presso tutti, e sin presso le nostre donne. E ora si vorrebbero citare alcuni tra i passi più felici delle lettere, non tanto per sostenere il giudizio che s'~ dato in principio, e che si sòstiene già ,sui passi _citati, quanto per una legittima ghiottoneria let– teraria; ma si andrebbe troppo per le lunghe: e citerò, senza troppo impegno di scelta, soltanto alcuni periodi notevoli per là diversità del tono, sempre ugualmente_ felice. Ecco bel piglio, che poi rivela il conoscitor di ,se stesso: Scapoli mi diceva ier l'altro: - Quanti anni avete ? ....:... Oinquantaquattro. E in cinquantaquattr'anni non avete anc6ra imparato che il mondo è de' birbanti 'r - Gli è vero, mio caro Aventi, io sono anc6ra bambino. Ma· colla mia voce infan– tile griderò tanto, che quella gran p.... d'Astrea, si. sveglierà. ID lascia che io finisca di seppellire il povero Ettore, e voglio proprio dar mano all'Il.iade delle bricconerie che rendono si famosa ·per ogni verso la nostra patria. E ho già pen– sato a chi dedicarla. Qui descrive un suo viaggio, con tranquilio umore : Oh il delizioso viaggiare in sediolo per istrade d'inferno col pericolò continuo di fiaccarsi il collo, precipitando in un fosso! Per non and_are innanzi temp~ all'al- BibliotecaGino Bianco
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