Pègaso - anno IV - n. 1 - gennaio 1932
V. MON'l.'I, Epistolario 101 nel latino e nel greco come nell'italianÒ; di tante che furono traviate dalla lor vera significazione; di tante che vanno prive di esempio, mentre nell'altre ne soprabbondano; di tante che son vive e si danno per- morte, e di morte che si danno per vive, e non han più soffio di vita; di tanta confusione de' sensi propri co' figurati; di tanti 11assi d'autori stortamente compresi, inso=a di tante nuvole prese per la Dea, che il disgombrarlo da tutta questa selva d'errori è sudore di molto tempo e di molte fronti.. .. All'assoluta dittatura dell'universale idioma ita– liano, affidati alla prevalente bellezza del loro dialetto, 'aspirarono i Fiorentini tino dai remoti tempi di Dante; il quale, mal sofferendo quest'arroganza, scrisse in latino il trattato della Volgare Enoquenza, e biasimò fortemente e derise la pt·etensione dei suoi Toscani, che alla lingua illustre, creata dagli scrittori e comune a tutta l'Italia, tentavano di sostituire il solo dialetto particolare della Toscana.... In– tanto essi, mal reggendo alle forti ragioni di quel trattato, per assodare la com– battuta lor dittatura, procedettero animosamente alle vie di fatto, e ideato il Vo– ·cabolario della Crusca, prontamente lo compilarono, ed esclusero dal medesimo tutti i vocaboli che vivi e vegeti e ben sonanti vagavano per tutto il iesto d'Italia, ma non erano sgraziatamente stati ancor tinti nel liquido oro, che scorre sotto il ponte di Santa Trinita; o che, nel significato della stessa cosa, per la differenza di qualche lettera sonavano diversamente dai vocaboli fiorentini; e per non nuocere a quelli di Mercato Vecchio, si giunse perfino a dar l'esilio a vocaboli che, secondo il precetto oraziano, pa1'cedetorti cadevano dal materno fonte latino, e più dotta e più nobile rendevano la favella. Ma ristretto dentro a questi confini, il Vocab9lario della f'rusca riuscì cosi magro e digiuno, che subito si fé sentire la necessità d'im– pinguarlo e ampliarlo co' materiali degli scrittori, che fuori del dialetto toscano avevano dilatata in più ampio spazio la lingua. E fu cosa meravigliosa il vedere l'Accademia della Crusca, costretta dall'onnipotenza dell'opinion pubblica, cano– nizzare per autor classico anche Torquato Tasso, quel Tasso che dai fondatori della stessa Accademia era stato sì. rabbiosamente straziato e coperto di villanie; alle quali pose il colmo miseramente lo stesso gran Galileo, acciocché i posteri s'accorgessero ch'egli pure era uomo .... E vorranno essi concedere che il tribunale della favella non siede né sull'Arno, né sul Po, né sul Tevere, ma dappertutto ove son persone che la sappiano scrivere castamente ? Alla gran fatica della Proposta, ebbe a massimo collaboratore il ge– nero Giulio Perticari, che moriva nel 1822. Al Perticari il Monti era le– gato da tenero affetto e da verace ammirazione; ma quel matrimonio della figliuola, presto seguito daH'acerba morte di Giulio, doveva essere. cagione di grandi dolori al poeta, come era stato cli grandissimi alla bella, fiera e infelice Costanza. Cara figura cli donna è la figliuola del poeta, e destò passioni e ca– lunnie come poèhe altre. Dopo la morte di Giulio, la bella e insidiata creatura così scriveva a Don Eduardo Bignardi : Intanto posso ben dirti che l'intimo mio 1esiderio è di ritirarmi per sempre dal mondo, sia che un monastero mi ricoverL o che mi stabilisca in una cam– pagna : ma vera campagna .... Aggiungi i pericoli e le insidie del mondo perverso. sempre attento a cogliere tutte le circostanze per valersi della nostra fragilità e precipitarne nell'abisso della colpa. Io lo conosco, è vero, questo mondo, e cono– scendolo non posso a meno di non detestarlo : ma affiderò io in questi sentimenti la mia salute ? oimè ! io anzi comincio dal temere primieramente di me stessa, e vi fosse modo di fuggir me, come altrui, da niuno vivrei altrettanto lontana. E delle sciagure che l'avevan colpita e della sua solitudine tra gli uomini e fin tra i familiari soffriva fino a cadere in una disperazione "bliotecaGino Bianco
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