Pègaso - anno IV - n. 1 - gennaio 1932

82 U. Ojetti - Ricordo di Arnaldo Mussotini pensiero, sui propri studi, ,sulle lezioni che dì per dì gli davano la pratica e anche il franco giudizio -dell'uomo che gli era ·più vicino, egli riusci a diventare un giornalista esemplare, chiaro, equilibrato, assicurato dai documenti, tempestivo nella scelta dell'argomento, capace di rivelare il proprio pensiero con un'allusione quando non era opportuno svelarlo per disteso. Ho avuto per due anni l'occll!sione di parlargli spesso e a lungo. Ciò che più lo turbava e straziava era doversi ricredere sulla fedeltà e pro– bità degli uomini cui aveva dato la sua stima. Pronto com'era ad accu– sare se stesso, quasi si rimproverava d'essere stato credulo e corrivo, perché scoprendo in tempo la ~alvagità o la debolezza avrebbe impedito o diminuito il danno e fors,fl ricondotto il colpevole al dovere. E pie– gava in silenzio sul petto il volto bonario, quella sua gran testa senza collo per cui sembrava che il palpito del cuore si ripercuotesse diretto nel cervello. Questo senno ed equilibrio era il conforto dei tanti che i.n questi tempi ansiosi e mutevoli ricorrevano a lui sperando che apprensioni e timori pel suo tramite giungessero in alto. Occorrendo partiva per Roma la sera stessa; ma accadeva di rado, tanto bene or'mai egli sapeva collo– care il caso singolare nel quadro delle necessità generali, e giudicare chi doveva guarirsi da sé senza medicine di Stato. Questa pena nel ricredersi, questa pace ,soltanto nella certezza l'ave– vano portato a una sempre più salda fede religiosa, specie dopo la morte del suo primogenito. Chiamò Dio in quei giorni disperati, l'invocò perché facesse morire lui « se vi sono colpe che qualcuno debba espiare)>, e non il figliolo. « Nel giorno mi seni.brava di non poter giungere alla sera e nella notte avevo la spe1·anza di non rivedere il mattino. » Dopo il crollo s'acquietò nella sicura attesa. « Sei partito per un lungo viag– gio. Forse hai raggiunto la mèta; la tua nave ha toccato il suo porto. Noi inv.ece siamo lontani e soli in questo gran mare della vita. Ed aspet– tiamo, noi pure, di toccare la nostra mèta, di superare la linea del nostro orizzonte. » V'ultima voltç1, che l'ho veduto vivo, nel suo studio al Popolo' d' ItaUa, mi spiegava come nella parete di contro alla sua scrivania aveva divisato di porre sopra una perpetua siepe di fiori il ritratto del figliolo. Poi s'è parlato di politica, di giornali, di scrittori. Quando per riaccompagnarmi all'uscio s'è trovato accanto a quella parete, m'ha detto tornando bru– scamente al primo tema: - Non vorrei però che rassomigliasse a un altare. L'ho dettò chiaro a chi mi prepara questa conca, questa co1mice. Nello stesso studio l'altra notte l'ho' riveduto morto, disteso, lui, dietro una siepe di fiori, e il 'ritratto del figlio in piedi, sereno e sorri– dente, era appeso a un palmo dalla fronte di lui. Nel testamento ha scritto: «Chiedo ai colleghi d'essere sobri nei commenti e nel necro– logio.» u GO OJIDI'TI. · Bibliote·caGino Bianco

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