Pègaso - anno III - n. 12 - dicembre 1931

G. DELEDDA, ll paese del vento 755 senso che le proporzioni si ristabiliscano, che la prospettiva vada a posto. i Mi viene in mente il verso di un poeta di Catalogna, sul paesaggio toscano: . Le cose a posto come in un bel gioco. E in verità, questo è di que' libri che danno appunto l'impressione di un gioco di fantasia felicemente riuscito. Ritoruando, a lettura finit~, sui particolari, anche i più minuti svelano il lor<;> perché. Vedete per esem– pio quello del pallone di carta rossa, << che il sole faceva parer di foeo >J, e che dopo esser ·andato vagando qua e là sopra i monti fino a sera, s'incen– diava sul colllfine di un podere. Qualche cosa, <( di significativo, d'ironico e di crudele ii, dicevano alla protagonista quell'apparizione e quella ca– duta. E noi ne penetriamo intera, la ca.usa solo dopo aver chiuso il libro sulla morte del tisico, il quale doveva essere, per quel che ne diceva il padre, una spec.ie cli genio e (<aveva perfino inventato un aereoplano ii. Ecco un veechio giudizio del Flora, che poteva anelar behe per Annalena Bilsi'flli, e magari anche per Ma,;,ianna Sirca: (<.LaDeledcla .... la frantu– miamo in una serie cli frammenti, e l'insieme né ci attrae né e.i con– vince )J. Non va più bene per Il paese del vento. L'episodio singolo cli que- , sto romanzo acquista luee -e ragione clall'insieme, e l'insieme sprigiona il suo fascino come risultante cli una concordanza cli segni, per eui .tutto sembra svolgersi sotto una specie cli predestinazione. Dopo di che si potrebbero anche dare i soliti esempi cli r-ealtà veduta con gli ocehi della Deledda,, cioè entro quello specchio fatalista; il quale ha fatto parlare cli religione, di epopea, di tragedia. Ma forse è meglio asserire, che l'altro spicilegio ormai cli pranunati.ca nei confronti di questa scrittrice, volto a cogliere qualche incongruenza nello sviluppo delle im~gini, qualche momento cli cattivo gusto nell'uso della parola o della frase, qualche distrazione o incompiutezza verbale, sarebbe l?res– soché impossibile pel romanzo recentissimo. All<lhenell'ambito espressivo in senso ristretto, è lecito eondudere : le cose a posto come in un bel gioco. PIERO NARDI. ENRICO PEA, Il servitore del Diavolo - La figliooeia. - Treves, Milano, 1931. L. 12. A trentatré anni che aveva scritto lo Spav~ntaochio (1914), Pea era . ' . ., già alla sua terza fatica (Fole è del '10, Mont1-gnoso, del '12); ma aneora in ,pubblico si presentava quasi ig·noto. E una gran cosa certo lo Spaven– taochio non era. Pure ebbe, e continuò poi ad avere, un tal quale favore, fino a Moscardino (1922): dunque per otto anni, quanti bastano_ in Italia a o~curare una fama già sul principio più valida, quando non sia accom– pagnata e svegliata da nuove opere e prove nuove. DipendeYa, forse, dal fascino che l'uomo Pea irradiava intorno a sé; e l'uomo veramente va- leva assai più dei sùoi libri. · ibliotecaGino Bianco

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