Pègaso - anno III - n. 7 - luglio 1931

Matilde Serao e Edoardo Scarfoglio 35 Ventre di Napol-i, nei quali dominava la versatilità giornalistica e l'ingenua adesione a un non rielaborato verismo, vedremo agire delle influenze lontane. Influenze di rimbalzo e solamente letterarie, non tanto complesse di ambienti e di persone da modificare la sua na– tura originale. Abbiamo già visto che questa natura si riduce a un sentimentalismo eccessivo, a morbidi stati d'animo incapaci di dare impulso a opere di largo respiro, - natura che dette saggi della sua capacità nelle prime e nelle ultime opere, specialmente in Addio A.more (1890), Castigo (1893), Lei ballerina (1899), Siwr Giovanna della Croce (1901), Ella non rispose (1907). In questi ro– manzi l'influenza del romanticismo francese del periodo Sand-Onhet e poi l'influenza di Fogazzaro e di Bourget, rimaneva solo formale> incapace di ridurre su di un piano di artistica concretezza le astra– zioni sentimentali in forma di personaggi. È nell'incontro con Edoardo Scarfoglio che la Serao integra compiutamente la sua perHonalità : fu una collaborazione inconsapevole che durò fino ai Capelli di Sansone (1887). Nella Conqitista di Roma, come abbiamo visto, convergono una sovrabbondanza e una deficienza integran– dosi armonicamente. Noi affermiamo questa duplice paternità guardando alla somma, alJa totalità del romanzo; però se riproviamo questo giudizio in un'analisi più minuta> scopriremo persino delle visibili tracce della penna scarfogliana. Il confronto :filologico è facilissimo: l'intimo carattere della Serao è tutto espresso nel mezzo di comunicazione, nella costruzione sintattica, nella scelta dei vocaboli ; ella subisce le influenze con una ingenuità, una immediatezza, un trasporto ve– ramente femminili. Infatti, mentre in Fa;ntasia il suo tentativo di indipendenza le fa trovare uno stile controllato e corretto, in Con– quista di Roma ella si appropria di un giro di frase e di alcuni modi di dire caratteristici dell'am6iente scarfogliano-dannunziano: « Non dunque lei era un fiore primaverile, un grande fiore umano sbocciato per la sua delizia ? )). E altrove : «Non ella era dunque la prima– vera fresca e amabile ? >>. Ella arieggiava inconsapevolmente la per– sonalissima scrittura dello Scarfoglio; la sua non era un'eco co– sciente, ché se si fosse deliberatamente prefissa l'imitazione non le sarebbe stato difficile di foggiarsi uno stile somigliante. Ella usa sempre il suo italiano gonfio e faticoso, non bene sviluppato dai colori e dalle cadenze dialettali; nello sforzo di ripulirsi, di impreziosire la locuzione, di eludere quel linguaggio piccolo-bor– ghese napoletano che non è più vernacolo ma lingua inlaidita, le vengono di tratto in tratto sotto la penna quei larghi giri di frase che tradiscono l' influenza scarfogliana. Chi legge la Conqitista di Roma con la matita in mano e segna i passaggi in cui la faci– loneria lotta più vivacemente con qualche larvata intenzione di dignità stilistica, difficilmente lascerà una pagina senza segno. Tut- ibliotecaG no Bidnco

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