Pègaso - anno III - n. 7 - luglio 1931

MATILDE SERAO E EDOARDO SOARFOGLIO. È ormai trascorso più di mezzo secolo dalla pubblicazione della prima raccolta di novelle di Matilde Serao e quasi un trentennio dalla vasta analisi critica di Benedetto Croce, nella quale i romanzi principali erano già tutti contemplati. Nel venticinquennio seguente alla lusinghiera valutazione crociana la Serao non ha composto opera nuova di spiriti diversi dalla precedente, né ha migliorato o condotto a maggiore altezza quanto aveva già espresso. Però i singolari eventi di questo periodo, le complesse personalità artisti– che apparse con varia fortuna, il raffinarsi e lo svilupparsi dei prin– cipii estetici affermati da Croce proprio intorno al tempo della pub– blicazione del suo saggio, inducono a rivedere la posizione della Serao che, se non va riguardata col medesimo ottimismo onde fu fatta segno nel suo tempo migliore, non va nemmeno confusa, come fu stoltamente tentato, con quella degli appendicisti e dei raffaz– zonatori. È un riesame, d'altra parte, che ci si può proporre per quasi tutte le figure artistiche fiorite nell'ultimo ventennio del se– colo scorso, periodo che s'è d'accordo nel chiamare età umbertina. Compiuto il Risorgimento, trascorso il periodo eroico, nel quale tutte le attività, e specialmente quella letteraria, avevano assunto una eccezionale dignità per la nobiltà del fine politico a cui si subordinavano, tutt~ le forze si ritrovarono in abito di pace innanzi alla realtà, divise tra gli atteggiamenti rivoluzionari e la neces– sità d'impòrsi un equilillrio. Tra queste forze, quella letteraria subiva più intensamente la crisi; mentre le altre letterature, fio– rite in nazionalità più evolute, avevano superato da un pezzo le aspirazioni e gli atteggìamenti politici di cui gli scrittori italiani erano ancor pieni. A rivedere oggi taluna delle figure minori di quella letteratura, - e basterà citare un Bovio e un Cavallotti, - a rivederle come furon derise, avvolte in grandi soprabiti, ingenue e goffe anche quando in sostanza dicevan cose sensate, non sen– tiamo più quella necessità di reagire che mosse il periodo vociano contro l'età umbertina. Anzi, una mente rasserenata intende ormai che la poesia di quei democratici e di quei repubblicani, - radi– cali, come allora li chiamavano, - era anch'essa un segno della BibliotecaGino Bianco

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