Pègaso - anno III - n. 7 - luglio 1931

112 G. PERROT'l'.A., I Tragici greci ecc. le quali Eschilo credeva V('lree gravi, come le credevano vere e gravi gli Ateniesi suoi coetanei. Ma è anche la moglie di Agamennone, la madre di Ifigenia; ed è donna formidabile e implacabile di furore e di odio : là ,è il suo legame, qui è la sua libertà. È colpevole Oreste ? poteva non uccidere Clitennestra? ,Se delitto genera delitto, e sangue vuol san– gue, ,e giustizia ha da esser compiuta, e 'in questo caso giustfaia aveva da essere compiuta dall'unico giustiziere che era il figlio; è chiaro che Oreste non poteva non uccidere : ma anche poteva, se pur immaginavasi consentito che all'ordine di Apollo egli disobbedisse; e dunque, anche qui, legame e libertà, necessità e volontà, obbedienza e responsabilità, allo stesso modo. Ma proprio in questa libertà e volontà e responsabilità sono i drammi di Oreste e di Clitennestra. L""accen.toè un poco spostato. Ma non tanto che anche qui il senso fatalistico non abbia espressioni di altezza sublime: basta pensare alla scena di 031Ssandra e al commo a tre voci di Elettra, di Oreste e del coro, che sono, ris·pettivamente, come io già notai, e il Perrotta è d'accordo con me, i due centri lirici maggiori dell' A.garnervnone e delle Coefore. E cosi, viceversa, non si potranno mai dimenticare l' arrivo di Serse ·nell' ultima .scena dei Persiani, e la figura di Etèocle in tutta la tragedia dei Sette. In– somma, la obiezione più gra,ve alla teoria del fato è un'obiezione di na.tura estetica, non etica. Perché Clitennestra sia quella creatura viva e mobile che Eschilo ha creata, e non un fantasma rigido e vano nelle mani degli dèi; perché ella ami e odi a quel modo, e prepari e compia a, quel modo, con quella sua astuzia sottile, con quel suo, fiuto sagace, con quella sua azione veloce, la sua vendetta ; perché Oreste sia così travagliato e agitato, e in tanta pena e ansia chieda soccorso all'ombra di suo padre, e senta di non poter non uccide11e,e insieme il dolore e il terrore di dovere e di volere uccidere : perché insomma tutte queste persone, anche Serse, anche Etèocle, siano quello che sono, e come sono rimaste nei secoli col loro suggello eterno di poesia, biso– .gnava che Eschilo, pur guardandole e prospettandole in quel groviglio cieco di leggi, anche le districasse e sciogliesse, anche le animasse di una loro libertà e volontà: libertà e volontà e responsabilità che sono ap– punto il soffio e il respiro della poesia creatrice : problema estetico, non etico, cioè di espressione e di forma. O vogliamo dire, per, restare in ter– reno di etica, che anche libertà e volontà sono finzioni e mezzi adoperati dagli dèi? Sarebbe sottigliezza inutile. Diciamo piuttosto che dove il problema etico non si risolve, o male si risolve, in problema estetico, quivi è difetto di poesia : come accade talora in Euripide. E certo il loro rapporto giova a determinare nei tre poeti, e di volta in volta in ogni tragedia, il diverso accento della poesia di ciascuno. Così, per esempio, la definizione della poesia di Sofocle, meno curioso di pro– blemi morali, e forse volutamente meno sensibile, e più inclinato a, concentrare su figure umane in se stesse la sua attenzione, ne consegue chiara e distinta. Il Perrotta vede e riconosce tutte queste cose assai bene; e quel che egli dice dei tre poeti mi pare accettabile in generale. Dove io riesco meno a consentire con lui è nella valutazione delle Dorvr,,e di Trachis. Le osserva,zioni del Masqueray sui due toni diversi della tra- BibliotecaGino Bianco .

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