Pègaso - anno III - n. 7 - luglio 1931

G. PERROTTA, I Tragici greci ecc. il Perrotta esamina e ragiona., nei tre saggi sui tre tragici, al capo secondo di ciascuno. D'accordo che parlare di un Eschilo filosofo, e nemmeno di un Euripide filosofo, non è lecito; che un sistema di pen- llieri coerente, con svolgimento ver,so una maggior purezza religiosa e ~ morale,- non si può dimostrare, e in E,schilo, per esempio, il dio delle Supplici e il dio dell' Aga11iennone sono alla. medesima altezza; d'ac– cordo, anche, che di tutto ciò, per ordine metodico, si poteva parlare separatamente e distintamente dalla poesia: ma, che di codesti problemi nessuno, massime parlando di Eschilo, possa essere risoluto da un punto· di vista etico, bensì solo estetico, cioè solo di poesia e di creazione e immaginazione poetica, questo non mi pare sia stato tenuto presente come bisognava. Gli dèi puniscono la colpa e non la felicità degli uomini. Il Perrotta insiste su questo pensiero come quello che rappresenti una religione più pura della religione popolare comune: aggiunge che la negazione della invidia degli clèi è di Eschilo .filosofo la idea più originale. Ora è vero che Eschilo taJora dice o lascia intendere cosà.; e una volta il coro dell' Agamennon,e ammette che anche il ricco e potente può es- sere felice e può essere giusto ; ma è an~he vero che il più delle volte Eschilo ripete, come già aveva detto Solone, e più esplicitamente affer– merà Erodoto, quella che era opinione comune: e cioè che la felicità genera tracotanza; e la tracotanza la violenza la prepotenza generano empietà; e la empietà richiama punizione e giustizia divina, distruzione e morte. E dunque, se gli dèi puniscono la colpa, anche puniscono, risa– lendo per gradi, le generatrici della colpa, tracotanza e felicità : ultima mira, appunto, o prima, la felicità: e si può anche intendere che la pena sia già nella colpa e nella tracotanza, provocate e suscitate esse mede- sime dagli dèi per punire la felicità. Gli dèi colpiscono le alte cime: ciò è detto nell' Agamervnone; ed è espressione erodotea,; dice Artabano a ·Serse: « Su gli esseri che troppo. alti si levano gitta suoi fulmini il dio; cr,me su le più alte case e su gli alberi più alti cadono sempre i dardi ' divini>>; ed è pensiero che ritorna continuo, lugubre, ostinato, per tutti i Pers-iani, la quaJe è tragedia, tutti sanno, della sconfitta persiana, e non della vittoria di Atene. È difficile distinguere; anzi è pericoloso di– stinguere. Si esclude, con questo ultimo modo, la responsabilità indivi– duale del colpevole? e si ricade, per tanto, nel vecchio e vieto pregiudizio del fato che fu e parve la chiave infallibile onde tante generazioni aprirono e scoprirono i segreti della tragedia greca ? Si esclude e non si esclude: ecco il punto dove dicevo che il problema etico non si ri– solve come tale. È solo, come sempre, questione di accento. La tra– gedia dei Persiani, tutta quanta, ,è proiettata e raffigurata in un cielo oscuro di minaccia che incombe- su la gente di Persia: persone umane vi appaiono meno· che altrove individualmente distinte. Perciò l'accento e il tono della poesia sono meno su la colpa, che su la sventura; meno su la colpa che su la felicità e potenza di un grande popolo e di un grande re abbattuti e distrutti. Questa è, tra le tragedie di Eschilo, forse la più fatalistica; forse anche più dei Sette. È col– pevole Clitennestra ? poteva non uccidere -Agamennone ? Ella è il dè– mone della stirpe; è la personificazione di antiche maledizioni; ed è lo strumento onde gli clèi punirono la colpa di Agàmennone: tutte cose

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